Anno 293 d.C.: alla guida del suo esercito il sasanide Narseh giunge al passo montano di Paikuli (oggi nel Kurdistan iracheno) con l’intento di dirigersi verso Ctesifonte e reclamare il proprio diritto alla corona di Re dei Re. In questo luogo strategico fra altopiano iranico e Mesopotamia il pretendente incontra i grandi dignitari del regno accorsi a rendergli omaggio; un evento cruciale che Narseh stesso più tardi commemorerà erigendo su quel sito un monumento celebrativo recante un’estesa iscrizione bilingue in medio persiano e partico.
Il successivo lungo oblio durato secoli, causa di crolli e dilapidazioni, si interruppe solo all’alba del Novecento con le missioni dell’archeologo tedesco Ernst Herzfeld e un primo intervento di salvaguardia effettuato nel 1997 dalla sovrintendenza locale che, con la fine del regime di Saddam Hussein su queste terre, ebbe modo di trasportare parte dei blocchi iscritti e modanati al Museo di Sulaimaniyah. Dal 2006 l’impegno italiano per il sito di Paikuli e il suo monumento ha fatto sì che un significativo apporto di nuove evidenze abbia arricchito tanto la collezione museale quanto la comprensione dell’iscrizione regale.
Frutto di una solida e duratura sinergia fra istituzioni locali e Dipartimento di Scienze dell’Antichità (Sapienza Università di Roma), la nuova galleria del museo dedicata al monumento di Narseh è stata inaugurata il 10 giugno grazie al supporto dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) a suggello degli sforzi congiunti mirati alla conservazione e valorizzazione di un patrimonio culturale di estrema rilevanza. Alla cerimonia seguita da un folto pubblico hanno presenziato il direttore della sede AICS di Amman Michele Morana, il direttore scientifico delle attività Sapienza Carlo G. Cereti, il governatore di Sulaimaniyah Haval Abu Bakir, il direttore del museo Hashim Hama e una nutrita rappresentanza del team Sapienza.
Attraverso l’attento lavoro di documentazione, studio epigrafico e restauro delle superfici calcaree svolto dagli esperti della Sapienza è stato possibile predisporre un allestimento che restituisse alla fruizione del pubblico l’ordine filologico delle due versioni dell’iscrizione e che al contempo rendesse, con l’esposizione di altri elementi architettonici, la monumentalità della struttura originaria. L’iscrizione stessa, incisa con caratteri netti e ben delineati nei due idiomi più rappresentativi dell’élite politica sasanide, era l’elemento chiave del monumento celebrativo rappresentando in forma tangibile l’autorevole parola del sovrano. Benché frammentario, il contenuto preservato costituisce un patrimonio essenziale alla comprensione di numerosi aspetti di ordine linguistico e storico-culturale, illuminando in particolar modo le cifre espressive dell’antica regalità iranica.
Nel suo insieme il testo può essere suddiviso in due grandi sezioni, una prima in cui sono narrate le vicissitudini che determinarono nell’ambito di una contesa dinastica l’ascesa al trono di Narseh, una seconda in cui sono elencati i Grandi del regno che si schierarono al suo fianco in tale impresa. Attraverso un registro solenne la narrazione rievoca gli eventi ricorrendo a modelli e formule che affondano le proprie radici sia nella tradizione dell’epica iranica che nel protocollo ufficiale di corte. Il testo dunque è un raro e fulgido esempio della sofisticata complessità in cui si articolavano la comunicazione regale sasanide e le sue sfaccettate forme di espressione. Nell’epigrafe infatti si condensa un messaggio ideologico pregnante ed efficace che ritrae Narseh in veste di protettore del regno e garante del lignaggio dinastico. Solidale all’imponenza della struttura, la parola incisa del sovrano dialogava con gli altri elementi architettonici e figurativi, in particolare con i cinque busti che effigiavano Narseh, definendo in forma aulica natura e carattere del sito. A Paikuli dunque testo e monumento declinavano, attraverso un linguaggio integrato, la legittimità di Narseh e l’esaltazione stessa della dignità regale sasanide.
Nella sua sede attuale il materiale esposto rinnova l’intento scenografico voluto dall’antico sovrano suscitando lo stupore nei visitatori che qui hanno finalmente modo di entrare in contatto con un frammento importante del loro passato. L’entusiasmo dei partecipanti all’inaugurazione è stato infatti quello di coloro che, nella rievocazione di una vicenda nel tempo lontana, colgono in realtà identità territoriale e prossimità culturale; sensazioni queste rese idealmente più vicine dai molti tratti condivisi fra il dialetto curdo Sorani oggi parlato nella regione e l’antica lingua partica con cui Narseh volle eternare la sua storia.