Esattamente un anno fa chi frequentava archivi e biblioteche poteva liberamente effettuare scatti fotografici dei documenti o dei volumi antichi che riceveva in consultazione. Una novità assoluta, anzi rivoluzionaria. Effetto diretto dell’entrata in vigore, il 1° giugno 2014, del decreto Art Bonus, che sanciva la libera riproduzione, purché effettuata a distanza e per finalità di ricerca, di tutti i beni culturali. Appena un mese più tardi un emendamento restrittivo, poi trasformato in legge, escluse espressamente dalla liberalizzazione i beni bibliografici e archivistici. Alla sorpresa, piacevole, prodotta dalla disposizione originaria, subentrò la delusione e lo sconcerto degli studiosi. Sconcerto alimentato dall’amara constatazione che mentre i turisti in visita a un museo continuano a poter fotografare liberamente (cosa sacrosanta, perché i beni conservati nei musei pubblici sono beni di tutti), gli studiosi ammessi ad attività di ricerca in archivi e biblioteche non avrebbero più potuto giovarsi dei vantaggi, dal loro punto di vista considerevoli, della liberalizzazione. Si tornava al regime precedente e a tutt’oggi in vigore: divieto assoluto di ricorrere al mezzo proprio ovvero, nei pochi istituti italiani che concedono la riproduzione con il mezzo digitale personale (stiamo parlando, per intenderci, anche di smartphone), richiesta scritta di autorizzazione e pagamento di una “tassa”. Ne consegue, per lo studioso che necessiti comunque di una riproduzione di documenti negli istituti che negano la riproduzione diretta, l’obbligo di ricorrere a pagamento al servizio fotografico convenzionato con l’istituto. Questa trafila comporta di norma l’attesa di tempi non trascurabili dal momento della richiesta di autorizzazione al ricevimento della foto. E la questione, s’intende, non è esclusivamente economica o di tempi: soltanto lo studioso è in grado di apprezzare l’importanza di un “appunto” visivo per documentare una particolarità appena intravista e che vorrebbe poter approfondire ad agio in un momento successivo; l’importanza di disporre di un’immagine di riscontro per poter verificare la bontà della propria trascrizione; l’opportunità, e a volte la necessità, di mettere in discussione le proprie ipotesi confrontandole con quelle di colleghi che magari vivono all’altro capo del mondo (ma che le attuali tecnologie - uno scatto con lo smarthpone e l’invio di una e-mail - rendono consultabili in tempo reale). Quanti dubbi e ripensamenti impongono le regole della ricerca! Non si vede perché la diffusione di modalità aggiornate di studio debba essere, anziché incoraggiata, frustrata. E non sarà superfluo richiamarsi al dettato costituzionale, che agli articoli 33 e 9 impegna la Repubblica a garantire, ma anche a promuovere, la libera ricerca.
4000 firme da tutto il mondo a favore della libera riproduzione Piccole beghe di ristrette conventicole, si dirà. E non dimentichiamo che la salvaguardia e la tutela dei materiali bibliografici e archivistici, spesso preziosissimi e anzi, nel caso di documenti e manoscritti, unici, è prerogativa inderogabile del personale al quale ne è affidata la conservazione. Quanto al primo punto, se la comunità degli studiosi interessati alla questione non sarà affollatissima in termini assoluti, non può dirsi che non sia ben rappresentata e trasversalmente popolata. Almeno a giudicare dai firmatari della petizione promossa dal movimento “Fotografie libere per i Beni Culturali”, formatosi nello scorso autunno allo scopo di richiamare l’attenzione sul problema . Iniziativa senza precedenti non solo per il numero di firme raccolte - fino ad oggi quasi quattromila - ma anche perché in esse si riconoscono i nomi non solo di numerosissimi accademici (dal professore ordinario al dottorando), ma anche quelli di funzionari istituzionalmente impegnati nella tutela dei beni archivistici e bibliografici . Per quanto riguarda poi i paventati rischi che i preziosi manufatti correrebbero, è evidente che la liberalizzazione dovrebbe imporre agli utenti alcune elementari regole (manipolazione oculata dei documenti, rinuncia alle fonti d’illuminazione artificiale, etc.): senza dimenticare però che tali utenti, per etica professionale, sono i primi a essere consapevoli della preziosità dei documenti che quotidianamente già sono ammessi a ricevere e manipolare ai fini della consultazione. Si creino semmai strumenti di accredito unificati e affidabili (una tessera, per dire, rilasciata a determinate condizioni, ma non a pagamento, che ammetta alla consultazione e alla riproduzione gratuita dei manoscritti in tutte le biblioteche statali italiane).
Conservazione del bene, autorizzazione preventiva e tutela del diritto di autore A rassicurare gli animi sul punto della tutela risuona del resto la voce stessa degli archivisti di Stato che a Firenze hanno avuto modo di constatare direttamente, un anno fa, i vantaggi della libera riproduzione nel mese di applicazione dell’Art Bonus, prima cioè che fosse approvato l’emendamento restrittivo. Non solo le libere fotografie non danneggiavano il materiale archivistico, ma ne determinavano anzi la minore movimentazione, e dunque indirettamente la migliore conservazione. Nessuno contesterà che una sistematica riproduzione dei fondi, consultabile gratuitamente in rete, a cura degli stessi archivi e biblioteche sarebbe una soluzione eccellente (anche se va detto che non risolverebbe tutti i problemi). Molteplici e ammirevoli progetti, soprattutto all’estero, dimostrano i vantaggi di una siffatta “apertura dei forzieri”. Ma il cammino da percorrere è infinito, i tempi e i costi ingentissimi, e non risulta che in Italia sia in corso un progetto sistematico di questo genere (ottima la Teca Digitale della Laurenziana, ad esempio, ma, per dire, riguarda un unico fondo, per quanto importantissimo, di un’unica, per quanto prestigiosa, biblioteca: e le altre centinaia, se non migliaia, di fondi?). D’altra parte, se il problema fosse davvero la tutela (e si leggano in proposito le parole di un autorevole esperto di conservazione, Carlo Federici , si comprenderebbe con difficoltà il motivo per cui i National Archives del Regno Unito e le Archives Nationales di Francia già prevedano la libera riproduzione con mezzo proprio da parte dell’utenza. La British Library, con ammirevole pragmatismo anglosassone, ha diffuso in rete un video dimostrativo allo scopo d’istruire gli utenti alla corretta manipolazione dei codici da riprodurre, prevedendo ad esempio l’utilizzo di cordoncini di piombo al fine di aprire le pagine del manoscritto senza danneggiarne il dorso . Non si potrebbe fare così anche da noi? Il digitale consentirebbe tra l’altro di mandare definitivamente in pensione la fotocopia a contatto, cui si ricorre ancora in certe sedi (questa sì, tecnica da rifiutare e abbandonare al più presto). E la riproduzione a distanza, come si diceva, non solo non danneggia il supporto, ma indirettamente ne promuove la conservazione, riducendone l’uso. Se devo trascrivere dieci carte di un codice, è preferibile che le tenga ferme con le mani e le rigiri per alcune ore almeno, come sono oggi obbligato a fare, o che le fotografi con lo smartphone in pochissimi minuti e poi le trascriva con mio comodo, senza più toccare l’originale, dove e quando vorrò (salvo ritornare all’originale per interrogarlo brevemente sui dubbi residui)? La riproduzione personale a fini scientifici andrebbe incentivata: non limitata o negata!
Altre obiezioni frequenti. Il rischio di abuso delle immagini per finalità non scientifiche e il rispetto del diritto d’autore. Ma l’autorizzazione preventiva per le fotografie di tutti i beni culturali che non siano bibliografici o archivistici è già stata, saggiamente, eliminata dall’Art Bonus. Al controllo ‘ex ante’ è sostituito un controllo ‘ex post’: l'unico davvero efficace. In Francia, le Archives Nationales non prevedono nemmeno richieste specifiche per la riproduzione personale. Per il diritto d’autore, anche in questo caso si può invocare un controllo ‘ex post’. D’altra parte, la Bibliothèque Nationale de France permette a chiunque, attraverso i suoi portali, di scaricare gratuitamente, in formato pdf, documenti o volumi antichi in buona risoluzione (senza nemmeno marcarli con l’inserimento di filigrane). Il diritto d’autore deve essere rispettato, certo. Ma quando sussista davvero. Non certo per libri a stampa o manoscritti o documenti di uno o più secoli fa.
L'esigenza di una revisione normativa per liberalizzare le riproduzioni (e la ricerca) L’eroicomica tentazione (e talvolta è più di una tentazione) di violare le norme vigenti s’indovina negli sguardi e nei furtivi movimenti di compassati studiosi: alcuni dei quali non esiterebbero, sfidando la vigilanza, a “rubare” qualche prezioso scatto (prezioso, intendiamoci, soltanto per loro) del codice in cancelleresca o in mercantesca che stanno amorosamente decifrando. È, questo, sintomo risibile di serissima esigenza. Sarebbe sbagliato non tenerne conto. È necessario adoperarsi affinché amministrazione e utenza collaborino insieme vuoi alla tutela che alla più ampia fruibilità del patrimonio: quanto meno di quella parte ingente che appartiene allo Stato, cioè a tutti, e che attende di essere valorizzata da chi è attrezzato per farlo. Se la liberalizzazione è realtà in una biblioteca-mito come la British Library, perché non dovrebbe diventarlo anche nelle nostre straordinarie biblioteche e nei nostri preziosissimi archivi?
Politica e amministrazione tengano presenti gli indirizzi di principio che siamo venuti enunciando e traducano in realtà normativa, sul solco già tracciato dall’Art Bonus, ciò che è prassi acquisita in numerosi archivi e biblioteche europei, e anche in qualche pionieristica realtà italiana. Lo sforzo sotteso alla raccolta di migliaia di sottoscrizioni da parte del movimento “Fotografie libere per i Beni Culturali” ha portato ad alcune aperture incoraggianti: un’interrogazione parlamentare al ministro Franceschini sull’opportunità di ripristinare lo spirito originario dell’Art Bonus e la previsione di facilitazioni per la riproduzione di beni bibliografici e archivistici inserita dalla Commissione Cultura della Camera nel Documento di Economia e Finanza 2015 . Sono episodi che inducono a un cauto ottimismo, se non altro perché segnano, a distanza di un anno, il ritorno del tema nelle aule parlamentari e testimoniano della consapevolezza che l’emendamento restrittivo sia stato un errore, e abbia rappresentato un’inversione di tendenza di retroguardia, laddove di avanguardia era stata la disposizione normativa di partenza. Sembra di scorgere perciò l’inizio di un percorso verso la modifica dell’art. 108 del Codice dei Beni culturali, già proposta nel dettaglio da "Fotografie libere per i Beni Culturali" e, quanto meno, verso l’emanazione di una circolare applicativa ministeriale che stabilisca in forma inequivoca, e soprattutto senza compromessi al ribasso, il principio della libera riproduzione in archivi e biblioteche per finalità di ricerca, nel rispetto delle norme a tutela della privacy e del diritto di autore.
*Professore ordinario di Filologia italiana alla Scuola Normale Superiore Presidente della SFLI - Società dei Filologi della Letteratura Italiana