21 giugno 2019

Mara Selvini Palazzoli, la rivoluzione italiana nella psicoterapia familiare

Nella famiglia con un paziente designato si gioca una assurda partita, in cui i giocatori si propongono di vincere restando all’interno di un gioco la cui regola principale è il divieto di vincere.

 

Sono passati venti anni da quando, nel giorno del solstizio d’estate del 1999, è venuta a mancare Mara Selvini Palazzoli. Ovvero la più influente psicoterapeuta italiana nella storia di questa giovane scienza, pioniera della terapia familiare e madre della Scuola di Milano o Milan Approach: l’impatto scientifico del testo del 1975 Paradosso e controparadosso, da lei scritto con i collaboratori L. Boscolo, G. Cecchin e G. Prata, è stato paragonato a quello dell’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud sulla terapia individuale.

Sulla scia di Gregory Bateson e della teoria del doppio legame nell’eziopatogenesi, secondo cui la patologia mentale nasce dalle distorsioni nei diversi livelli comunicativi all’interno del nucleo familiare, Selvini Palazzoli si approcciò al trattamento delle psicosi – tradizionalmente avversato dal modello psicoanalitico, all’epoca dominante – con un setting completamente nuovo: due terapeuti in stanza con la famiglia, due a osservare ciò che accade dietro lo specchio unidirezionale. Poco prima del termine degli incontri i quattro terapeuti si riunivano e tornavano dalla famiglia con una prescrizione comportamentale paradossale, ritagliata sul loro caso e tale da causare sconcerto, cambiamenti improvvisi di prospettiva e velocissime “guarigioni”. Conscia dei giochi psicotici agiti in famiglia, sapeva che le prescrizioni avevano il potere di modificare le interazioni sottili che perpetuavano i comportamenti disfunzionali: classico esempio quello della connotazione in positivo e prescrizione del sintomo. Il tutto senza santificare i devianti, ma affrontandoli con quella che definiva cattiveria amorosa per liberarli dal loro paralizzante gioco senza fine, come in una partita a scacchi. Nessuna ricetta di vita dunque, ma una comunicazione dilagante, corporale, in cui cadeva ogni scissione tra ruolo professionale e persona e si abbandonava quella tecnica terapeutica esplicita, diretta, pedagogica, ancor oggi troppo presente nei professionisti della salute mentale: l’essenziale era che i pazienti guarissero e le famiglie cambiassero, anche senza che si rendessero conto del perché. Stesse conclusioni tratte nello stesso periodo dal maestro americano Milton Erickson.

Con questo metodo Selvini Palazzoli si dedicò, prima al mondo, anche alla creazione di un trattamento clinico efficace per la anoressia mentale, condizione già osservata almeno dall’epoca rinascimentale ma esplosa nel mondo occidentale con il benessere del secondo dopoguerra. Ancora oggi i contributi suoi e delle sue équipes di lavoro – da ricordare il testo L’anoressia mentale del 1963 ‒ sono citati nelle ricerche in tutto il mondo; ma per l’epoca furono talmente rivoluzionari da portare alle velenose accuse di inventare i propri risultati, avanzate da esponenti di case farmaceutiche particolarmente interessati all’approccio organicistico ai disturbi mentali.

Come altri maestri della sua generazione, la giovane Mara Palazzoli (avrebbe poi aggiunto al proprio il cognome Selvini del devoto marito, il medico Aldo) si trovò ad affrontare eventi di vita estremi, che l’avrebbero poi condotta allo sviluppo di doti intellettuali straordinarie per attribuire significato ed equilibrio alla propria esperienza: ancora neonata fu affidata dai propri genitori, distratti da troppi figli e attività commerciali, a una coppia di contadini del Varesotto e lì dimenticata per oltre due anni. Una volta riportata a casa cominciò – a partire dalla fuga di casa a tre anni per ritrovare quella che considerava la vera mamma – la maturazione di una personalità ribelle ai dogmi, capace di creare fortissimi legami di appartenenza, una leader autoritaria, ma con la tendenza a mutare velocemente umore e idee, tanto da essere stata nella fase finale della sua carriera la critica più radicale dei suoi precedenti orientamenti.

La sua eredità scientifica, compresa la scuola e clinica milanese di psicoterapia familiare da lei fondata, è ora nelle mani del figlio Matteo Selvini, psicoterapeuta esperto di adolescenza a rischio e attento divulgatore dell’opera materna. Autore del testo del 2004 Reinventare la psicoterapia che ne ripercorre l’intera traiettoria biografica e scientifica, Selvini si sta attualmente dedicando con il nipote regista Federico alla realizzazione di un documentario – titolo provvisorio Mara Selvini Palazzoli: risonanze tra vita e professione ‒ in grado di illustrare la grandiosa opera scientifica della madre Mara, eccellenza italiana della scienza.

 

Immagine: Mara Selvini Palazzoli. Crediti: Per gentile concessione di Matteo Selvini

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