“Sono un sostenitore di un diverso tipo di TSO: il Trattamento Sportivo Obbligatorio”. A dichiararlo lo psichiatra Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale e autentico interprete della tradizione basagliana italiana, quella che vede i pazienti come persone a cui restituire quei diritti - godimento della socialità e delle attività preferite - che spesso si negano, incastrati come sono in un cortocircuito biochimico e relazionale. Rullo è il creatore del progetto Crazy for Football, il documentario appena presentato alla Festa del Cinema di Roma sulla prima nazionale italiana di calcio a 5 che concorre ai mondiali per pazienti psichiatrici a Osaka.

Il film è scritto dal regista Volfango De Biasi e da Francesco Trento, già autore di Venti Sigarette a Nassirya e allenatore-giocatore della Nazionale Italiana Scrittori; i protagonisti sono i dodici giocatori - selezionati tra annunci e provini - e il movimento, antidoto alla staticità. Calcio come terapia salvifica, “un’esperienza che richiama alla mente la memoria emotiva di quando non si era malati”, afferma Rullo in una scena del film. Il calcio si è rivelato uno strumento molto efficace per il reinserimento sociale dei pazienti: “L’incontro sul campo di gioco garantisce un riavvicinamento tra il paziente e il suo quartiere, abbattendo le differenze tra i ‘sani’ e i ‘malati’. E, al contempo, il campo da calcio diventa il luogo in cui il paziente compie il primo passo nel ricominciare a vivere con gli altri. Persone che in qualche modo hanno smesso di rispettare le regole fuori dal campo riescono però con facilità a seguire e accettare le regole del calcio, e questo apre spesso la strada a un completo recupero sociale.”

Il progetto nasce all’inizio degli anni Duemila da un’intuizione di Rullo e colleghi; e i primi risultati, basati sull’esperienza di una trentina di squadre - spesso allenate direttamente dai medici e gestite dalle Asl - erano stati incoraggianti: la percentuale di ricoveri si abbassava drasticamente. Affascinati dall’esperimento, nel 2004 De Biasi e Trento realizzano Matti per il calcio, un primo documentario autoprodotto poi distribuito in tutta Europa. Il grande successo del film ha spinto gli psichiatri di tutto il mondo a utilizzarlo per portare avanti la ricerca sull’importanza dello sport nella riabilitazione psichiatrica. Ed è accaduto un piccolo miracolo: dalle poche decine di dieci anni fa si è oggi passati alle migliaia di squadre di pazienti psichiatrici in tutto il mondo, in campionati che spesso proprio Matti per il calcio si chiamano. All’avanguardia il Giappone con 600 squadre, quasi tutte finanziate da società sportive di serie A.

Ma com’è andata ai Mondiali giapponesi? Rivelarlo significherebbe guastare la sorpresa di chi intende guardare l’opera. Possiamo dire che gli atleti, allenati magistralmente dall’ex calciatore Enrico Zanchini e preparati atleticamente dal tostissimo pugile Vicenzo Cantantore, hanno dimostrato un buon livello tecnico ma soprattutto  gioco di squadra, capacità di seguire i dettami tattici e rispetto dell’autorità arbitrale ammirevoli. L’opposto di quanto si vede sui nostrani campi di gioco dilettantistici, caratterizzati troppo spesso da grandi e piccoli gesti di violenza di chi, impantanato in terza categoria, crede di giocare in Champions League.

Chi sarebbero i matti?

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