16 marzo 2023

Moro a Maglie: «Vengo come un amico, non per un atto di esibizione»

 

«Ho Maglie nel cuore e ho l’orgoglio di dire che sono nato a Maglie»: sono le parole di Aldo Moro pronunciate durante il suo discorso in Piazza Municipio il 27 giugno 1965, nella sua prima visita nella città natale (nacque proprio a Maglie, in provincia di Lecce, il 23 settembre 1916) dopo la nomina a presidente del Consiglio avvenuta nel 22 luglio 1964. L’affermazione testimonia il legame con Maglie, che lo statista si sente in dovere di rimarcare, perché, come lo stesso Moro racconta pubblicamente ai suoi «concittadini» – li chiama così più volte nel corso del suo intervento ‒ qualche giorno prima un giornale locale aveva scritto «è nato a Maglie per caso, perché non è di famiglia salentina». Parole che l’allora presidente del Consiglio aveva ritenuto «non troppo amichevoli» essendone stato in qualche modo colpito e probabilmente amareggiato. Quindi nel suo discorso aveva puntualizzato: «lo, no, sono di famiglia salentina, mi sento vicino a voi, vi comprendo e sento che tanta parte della mia personalità, della mia formazione morale, tanta parte dei miei ideali di vita io li ho attinti qui, non solo per l’educazione che qui ho ricevuto, ma perché portiamo in noi, è vero, la storia e la vita della nostra terra. Io appartengo a questa terra e a questa gente». Parole che segnano l’importanza delle proprie radici, troppo spesso forse nei giorni nostri dimenticate, e il legame con la sua città natale, un luogo che non ha mai dimenticato e, come spesso sottolineerà in altre parti del discorso, porta nel cuore.

Una frase che lo statista, rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e poi fatto ritrovare morto il 9 maggio dello stesso anno, pronuncia per ribadire la vicinanza con la sua città d’origine, ma anche per scusarsi della «frequenza veramente molto rara per il complesso degli impegni che per anni e anni hanno pesato su di me». Moro prega i suoi concittadini «di non misurare il mio attaccamento dalla frequenza delle mie visite a Maglie». Il suo è «un contatto affettuoso con la mia terra e con la mia gente; riconoscenza profonda per voi, concittadini ed amici, che avete voluto riunirvi qui, salutarmi con il vostro applauso, che avete voluto sentirmi vicino a voi, come si sente un vecchio amico che si ritrova magari dopo molto tempo, ma che si sa essere stato sempre vicino a noi. E io sono stato sempre vicino a voi».

Una vicinanza che sente molto profonda nonostante Aldo Moro sia nato a Maglie e poi abbia fatto a Taranto ‒ dove la famiglia si era trasferita ‒ gli studi nella scuola pubblica statale, fino alla licenza liceale conseguita nel liceo classico Archita. Poi, come è noto, ha studiato all’Università di Bari e da lì ha proseguito la sua carriera accademica e successivamente quella politica a Roma.

 

Da quel discorso in Piazza Municipio non traspare solo un forte legame con la sua terra di origine, ma anche una persona attenta, sensibile, profonda, scevra da personalismi, egoismi e molto modesta. Una persona timida e che non ama apparire e per questo si sente in dovere di dire: «Non sono venuto molto presto da voi, quando ho ricevuto il mandato di dirigere il governo del nostro Paese. Mi sembrava, il venire molto presto, un atto di esibizione: io non ho voluto farlo; vengo da voi dopo un anno e mezzo dell’esercizio del mio mandato: vengo come un amico, non vengo per un atto di esibizione, vengo per un atto di amicizia, di solidarietà profonda con voi, amici e concittadini».

Un atteggiamento inimmaginabile per noi cittadini del terzo millennio, abituati all’apparenza più che alla sostanza; alle presenze pubbliche da condividere sui social, ai tweet dei politici, ai post con le relative foto che raccontano ogni gesto degli uomini politici e la presenza in ogni determinato luogo dei personaggi pubblici e non solo.

Successivamente in un altro passaggio sottolinea l’importanza delle tradizioni del proprio Paese, tradizioni cristiane e civili su cui si dovrebbe basare la spinta del progresso. Quasi sessant’anni  fa, Moro indica la strada, ancora oggi valida, per crescere e progredire, partendo dalla propria identità e dalla storia di un popolo e di un territorio. Moro ribadisce che alcuni suoi «ideali, queste comuni aspirazioni, che ha in comune con i cittadini magliesi e con il territorio, questa comune volontà di progresso umano e civile queste cose scaturiscono dalla nostra tradizione. Ecco perché, tante volte in varie funzioni pubbliche, ho ricordato le tradizioni del nostro paese e della nostra gente. Sono le tradizioni cristiane e civili del nostro popolo: questa antica saggezza che è in voi, amici, che si esprime nel nostro equilibrio, nella vostra amabilità, nella vostra pazienza non inerte, pazienza si, ma accompagnata da volontà di progressi. Ho ricordato e ricordo, anche in questo momento voglio ricordare, queste tradizioni del nostro popolo, queste tradizioni della nostra terra, della nostra città: saggezza, equilibrio, pazienza, serenità, spirito di concordia».

 

Infine, una parte del discorso è dedicata al suo pensiero politico. All’importanza di alcuni valori e principi di condivisione e di unità di intenti e di sentimenti, parole ispirate alla concordia nonostante la pluralità di pensiero e la varietà di opinioni e di idee differenti.

«Voi capite che io non voglio e non posso dirvi parole che siano di divisione: io voglio e devo dirvi parole di concordia, perché le mie parole debbono essere parole di fiducia nell’avvenire del nostro Paese» ed essere sia un invito alla concordia con la popolazione di Maglie sia «un incitamento ad una concordia anche maggiore come popolo, perché possiamo, nell’ambito delle nostre antiche virtù e delle nostre tradizioni, conquistare un degno avvenire per il nostro Paese. Parole di concordia e di fiducia: concordia non significa uniformità, concordia non significa rinuncia al dibattito delle idee, la concordia non è incompatibile con la varietà dei partiti e con il libero gioco della vita democratica. Concordia significa che nel fondo noi siamo cittadini dello stesso Paese ed abbiamo lo stesso passato e lo stesso destino. Concordia significa che c’è qualcosa nel fondo che ci unisce, non dirò «malgrado» la dialettica delle idee, ma proprio in forza della dialettica delle idee, proprio in forza di questa varietà delle opinioni, ci unisce come popolo, come popolo retto da istituti democratici, che noi vogliamo difendere e potenziare, vogliamo difendere e potenziare, sapendo che [da] questa democrazia non deriva la disunione ma l’unità di fondo del popolo italiano».

Non mancano parole e riferimenti all’attualità e ai problemi in cui in quegli anni andava incontro l’Italia. Bisogni che cominciavano a cambiare e che proiettavano il nostro Paese verso il futuro. Moro sottolinea l’importanza di contribuire insieme e di cooperare per raggiungere alcuni traguardi.

«Vogliamo conquistare un avvenire più degno? Il vostro e nostro sindaco ha parlato dei problemi ancora aperti nella nostra città: ebbene cercheremo di darvi una mano perché essi siano risolti, come tanti problemi sono aperti nel nostro Paese. Direi che sembra che ne siano aperti più oggi che non ieri, forse perché siamo saliti abbastanza: in questi anni abbiamo in parte soddisfatto le necessità elementari e siamo passati a bisogni, a esigenze, di un livello più elevato, perché è il nostro un popolo che si risveglia sempre più, in una più matura coscienza civile e politica. Questo popolo chiede più libertà, più giustizia, più benessere, più viva partecipazione a tutti i beni di ogni ordine che sono nella società umana.

Vogliamo aiutarvi, vogliamo aiutarci insieme: ecco la comunanza del nostro destino, vogliamo cooperare per conquistare queste cose per il nostro popolo. Dobbiamo risolvere quindi molti problemi: dobbiamo sanare ancora delle piaghe, dobbiamo salire dei gradini ancora insieme. Lo vogliamo e lo possiamo fare con gradualità, con la pazienza con la serenità, con l’equilibrio, con il senso civico.

Questa volontà di salire e di conquistare non è affatto incompatibile con queste virtù, anzi proprio l’ardimento della conquista richiede queste virtù. Quando noi presentiamo, come facciamo ora, un grande inventario delle risorse e delle possibilità e delle esigenze del Paese: lo facciamo perché tutti abbiamo chiaro il punto al quale vogliamo arrivare ed insieme le difficoltà che di giorno in giorno dobbiamo affrontare, perché tutti possano valutare il distacco che ancora c’è di fronte agli ideali, perché tutti sappiamo cha a tutti è promessa qualche cosa, ma che a tutti insieme è richiesta qualche cosa, cioè una temporanea rinuncia, perché, nell’ordine, il grande progresso civile, sociale, economico, umano che vogliamo per il nostro Paese diventi una sicura realtà. E io sono certo che così sarà. Io non sono, lo sanno tutti, per temperamento un ottimista: io valuto freddamente la realtà e misuro le distanze che ancora ci dividono dalla meta e non ho mai, nel corso della mia azione di governo, mostrato facili cose che non lo erano, non ho mai promesso più di quel che potessi mantenere, spesse volte ho chiesto pazienza, serenità, equilibrio, senso di responsabilità e lo dico ancora, non vi faccio delle promesse vuote, ma proprio per questo, se volete per questa serietà, che è vostra dote, cari amici, per questa serietà io credo che abbiano più valore le parole di fiducia e di ammonimento che io pronuncio in questo momento. Fiducia nel nostro Paese, che cresce nella democrazia, nella ricchezza economica, ma cresce, deve crescere anche nella sua ricchezza morale; ho fiducia nell’avvenire del nostro Paese.

Siamo un istante nella vita del nostro popolo, siamo un momento solo: importante è che, in questo momento, siano assolti da Governo e popolo tutti i compiti che l’ora storica ci riserva. Ecco perché lavoriamo, insieme con voi, in questo momento: per procurare al nostro Paese l’avvenire al quale esso ha diritto.

Una parola di fiducia: certamente andremo innanzi, certamente supereremo alcune difficoltà, che ci hanno attardato in questo tempo, certamente riprenderemo più ordinatamente il ritmo del nostro sviluppo, certamente saremmo inseriti, con sempre maggiore dignità, popolo libero tra i popoli liberi del mondo. Siamo rispettati ed amati: un grande avvenire si dischiude al nostro Paese, solo che noi lo vogliamo: sol che non ci manchi il civismo che è caratteristico del popolo italiano, lasciatemi dire che è caratteristico soprattutto di questa gente e di questa terra; sol che non ci manchino le virtù morali che vogliamo riconfermare in questo momento, sol che non ci manchi la volontà di lavorare giorno per giorno per conquistare l’avvenire che meritano i nostri figli.

Cari amici di Maglie, vi ringrazio con tutto il cuore per l’accoglienza che mi avete fatto, vi ringrazio per il conforto che mi avete dato, per la fiducia che avete voluto dimostrarmi. La mia giornata è spesso piena di cose difficili; accade ai governanti di vedere soprattutto i problemi aperti è come un ricamo alla rovescia. Noi vediamo sempre la parte nella quale sono le sofferenze, le incertezze, le attese, i bisogni, ma c’è un rovescio, c’è la parte bella di questo ricamo; questa l’avete fatta vedere voi, è raro vederla, ma me l’avete fatta vedere voi, ora».

Moro nel suo discorso ribadisce di avere fiducia nel suo «Paese che cresce nella ricchezza economica, ma cresce, deve crescere anche nella sua ricchezza morale». Una ricchezza morale che probabilmente negli ultimi anni è andata sempre più perdendosi e che ci spinge a chiederci sempre con più convinzione, come sarebbe la nostra Italia se non avessero fermato le idee, gli ideali di Aldo Moro. Se le Brigate Rosse e non solo non avessero messo brutalmente fine alla sua vita e al suo operato.

 

◊ Le citazioni sono tratte da Un discorso di Moro a Maglie, in Realtà Salentina, a. II (13 aprile 1978), n. 7, p. 3

 

Immagine: Aldo Moro a Maglie in Piazza Municipio, 27 giugno 1965. Crediti: Foto per gentile concessione di Alessandra Ferramosca

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