In Italia sono sempre meno diffuse le zone in cui è ancora possibile apprezzare la natura così com’è, con il suo patrimonio di esuberante biodiversità. Oltre a un’antropizzazione invasiva e in perenne aumento impazzano scellerate manie di ordine e asetticità riferite al paesaggio, in onore a un modello estetico tutto da dimostrare. Scempi e devastazione sono spesso fatti passare per interventi di igiene e conservazione celando il più delle volte un interesse non benevolo, mirato a una fruizione massiccia del territorio “ripulito”. Proprio di questo mese sono le discutibili operazioni in alcuni tratti dell’Olona, sulle cui sponde sono stati rasi al suolo interi habitat: la distruzione di arbusti, cespugli e canneti significa un danno irreparabile per l’ecosistema fluviale e non si capisce davvero come istituzioni ed enti preposti possano ancora ignorare le conseguenze nefaste di azioni di questo tipo.
Fortunatamente in un’altra parte della Lombardia le cose sembrano andare meglio: siamo a ridosso delle Prealpi e del confine provinciale tra Como e Lecco, in un’area fortemente urbanizzata capace però di conservare luoghi contraddistinti da una natura inaspettatamente autentica. Tra montagne e piccoli laghi si trovano parchi e riserve naturali a tutela del territorio note per lo più alla popolazione locale. Qualche chiaroscuro c’è ma riguarda soprattutto la stagione estiva, quando cresce a dismisura la quantità di persone che si riversano su sentieri e sponde.
Come quelle del Lago del Segrino, un’oasi naturalistica poco più grande di uno stagno che appartiene dal 1984 al Parco locale di interesse sovracomunale gestito dai Comuni di Canzo, Eupilio, Longone al Segrino e dalla Comunità montana del Triangolo Lariano. È un luogo incantato, circondato dai boschi del Cornizzolo e del Monte Scioscia, popolato da ninfee e canneti che offrono cibo e riparo a una quantità incredibile di pesci, anfibi, insetti e uccelli. Le sue acque sono balneabili ed è scontato qui fare il bagno vicino a folaghe e germani reali, mentre svassi e aironi ci osservano da lontano. Le fonti sotterranee alimentano costantemente il lago e le sue acque sono molto pulite: inutile dire che il futuro di questo piccolo paradiso dipenderà dalla capacità di mantenere un equilibrio sostenibile tra l’ecosistema e la presenza dei bagnanti, divenuti negli anni sempre più numerosi.

Monte Palanzone, Corni di Canzo e Resegone visti dall’Alpe del Viceré, zona Capanna Mara (foto di Valeria Canavesi)
Accade lo stesso all’Alpe del Viceré, non lontano da Erba e da qui: il nome fascista ancora oggi definisce un luogo di villeggiatura da sempre molto amato dai comaschi, che lo frequentano in ogni stagione. Un albergo, qualche trattoria e un ampio prato sono il punto di partenza di molti sentieri che si inerpicano verso il Monte Bolettone e il Palanzone immersi in foreste di faggi, castagni e noccioli. È facile per chi cammina incontrare daini e cinghiali; gli amanti delle grotte possono invece avventurarsi nel Buco del Piombo, cavità carsica imponente dall’ingresso scenografico. I luoghi sono facilmente accessibili, forse troppo: anche su queste alture si riscontra il vizio tutto contemporaneo di organizzare concerti rock in baita, disturbando la fauna e portando nei boschi masse di persone assolutamente indifferenti al contesto montano. Viene davvero da chiedersi perché le amministrazioni comunali rilascino i relativi permessi, in un momento di siccità imperante in cui basterebbe un mozzicone di sigaretta ancora acceso per scatenare disastri.
Più tranquilla la situazione nel Parco regionale della Valle del Lambro con i laghi di Pusiano e Alserio. Il primo è noto per essere stato celebrato da Giuseppe Parini e per un inquinamento di epoca recente che ne ha compromesso la salubrità per molto tempo; il secondo, più piccolo e defilato, include la preziosa Riserva naturale della Riva orientale: una sponda ombrosa, selvatica, percorsa da un sentiero piacevolissimo immerso nella natura. Di qua i canneti, le distese di ninfee, gli acquitrini tanto amati da anfibi e uccelli migratori; di là il caotico sottobosco che si intreccia fitto fitto ai noccioli, ai sambuchi, ai pungitopo. Dal tappeto verde svettano gli alberi, anche loro impegnati in una trama intricata in cui si riconoscono a fatica le robinie, gli ontani, i carpini. Un profumo di muschio e terra bagnata accompagna i nostri passi e indoviniamo la presenza di animali per cui questo apparente scompiglio è ragione stessa di sopravvivenza. Cosa sarebbe dei ricci, dei tassi, dei ghiri senza questo habitat umido e impenetrabile? Dove potrebbero nidificare altrimenti usignoli e allocchi, scoiattoli e conigli selvatici? Le risposte sono retoriche come le domande e ci piacerebbe vedere alunni e studenti frequentare questi posti imparando l’amanita, la salamandra, il tarabuso. E anche la lezione più importante di tutte: ciò che a noi umani sembra disordine privo di senso è spesso sinonimo di biodiversità, natura, vita. Compresa la nostra.