Cominciamo con un rammarico. Anche quest'anno non c'è nemmeno una donna. D'altronde in tutta la storia dei Premi Nobel, nelle tre categorie scientifiche (medicina, fisica e chimica) hanno vinto solo 16 donne. E anche nel 2012, quei tre premi sono stati spartiti fra sei uomini. Per l'esattezza, John Gurdon e Shinya Yamanaka per la medicina (“per la scoperta che le cellule mature possono essere riprogrammate per diventare cellule pluripotenti”); David Wineland e Serge Haroche per la fisica (“per i metodi sperimentali che permettono di misurare e manipolare singoli sistemi quantistici”); Brian Kobilka e Roberto Lefkowitz per la chimica (“per gli studi sui recettori accoppiati alle proteine G”).
Come spesso accade, tutti i pronostici sono stati disattesi. Chi prova a farne di ragionati e professionali, come Thomson Reuters (per capirci la società che cura la bibliometria scientifica e l'impact factor, assegnando “punteggi” a riviste e articoli che ne misurano l'influenza sulla comunità scientifica), indicava alla vigilia tre possibilità per ogni premio (http://sciencewatch.com/nobel/2012-predictions), ma non ha azzeccato né un nome, né un campo di ricerca. Scommetteva infatti sui meccanismi di adesione cellulare per la medicina, sul teletrasporto quantistico per la fisica, sui 'quantum dots' per la chimica. Le scelte di Stoccolma sono andate in tutt'altra direzione.
Meno che mai ci ha azzeccato chi sperava che fosse riconosciuta la scoperta del bosone di Higgs, annunciata dal CERN la scorsa estate, e che ha visto molti scienziati italiani con ruolo di primo piano. Ma in realtà, i bene informati sapevano bene che non sarebbe successo. Prematuro e difficile in ogni caso il Nobel a Peter Higgs, il fisico britannico che descrisse quella particella circa mezzo secolo fa. Perché i dati raccolti dal CERN, se parlano con chiarezza di una nuova particella elementare, non bastano ancora a confermare che sia proprio quella che aveva previsto lui. E in ogni caso, anche se il bosone porta il suo nome, ci sono altri cinque fisici, tutti viventi, che contribuirono in modo decisivo a quella teoria. E le regole ferree del Nobel vogliono che il premio sia diviso fra tre persone al massimo. Chi lasciare fuori? Sarebbe stato bello invece veder premiato il lavoro dei due esperimenti ATLAS e CMS, che qualcosa di epocale lo hanno fatto di sicuro. Ma anche qui, per i Nobel scientifici non è previsto il premio a un'istituzione, come avviene invece per quello per la pace. Scegliendo Wineland e Haroche, alfieri di una fisica di frontiera ma che si può ancora fare sul tavolo di un laboratorio, il Comitato Nobel sembra quasi voler mandare il messaggio che la scienza non è solo quella dei grandi progetti internazionali e degli acceleratori di particelle che costano miliardi. Vero, ma anacronistico: molte delle grandi domande che restano alla scienza verranno affrontate da megaprogetti come quelli del CERN, e se il Nobel non cambia le sue regole potrebbe trovarsi nel paradosso di non premiare le più grandi scoperte del futuro, e non solo nella fisica.
A parte questo, nessuno discute più di tanto le scelte di Stoccolma. Il Nobel per la fisica va comunque a ricerche straordinarie, esempi di virtuosismi strumentali senza pari. Quello per la medicina a una delle grandi svolte (tanto tecniche quanto concettuali) degli ultimi anni, potenzialmente rivoluzionaria per le terapie del futuro (la possibilità di riprogrammare cellule somatiche adulte trasformandole nuovamente in staminali pluripotenti). L'unica cosa che può stupire è la rapidità per il premio a Yamanaka, appena sei anni dopo il suo esperimento, un tempo brevissimo rispetto a quelli a cui ci ha abituati Stoccolma. Spiace semmai che alcuni (compreso il ricercatore italiano Angelo Vescovi in un'intervista su "Avvenire") ne abbiano approfittato per contrapporre artificiosamente la ricerca sulle staminali “adulte” (Yamanaka ha dimostrato la possibilità di usare cellule da individui adulti per ricavare cellule pluripotenti) a quella sulle embrionali. I due filoni hanno in realtà bisogno l'uno dell'altro per procedere.
Il Nobel per la chimica si conferma (ma non è una novità) un po' in crisi di identità. La ricerca premiata, sui recettori accoppiati alle proteine G, è un importantissimo lavoro di biochimica, ma in fin dei conti ha più a che fare con la biologia che con la chimica: spiega come le cellule dell'organismo “sentono” l'ambiente che le circonda. In altri anni, questo Nobel ha premiato ricerche al confine con la fisica, spesso decisamente al di là del confine. È sempre più difficile d'altronde tracciare con precisione i confini tra la chimica e le discipline confinanti, tanto che a volte sembra essere diventata un insieme di tecniche a disposizione delle scienze “sorelle”, più che una disciplina a sé stante. Forse anche rispetto alle categorie in cui si divide il Nobel, a Stoccolma dovebbero iniziare a chiedersi se non sia necessario qualche aggiornamento.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata