Nel cuore del Montefeltro, in provincia di Pesaro e Urbino, svetta l’imponente rocca ubaldinesca di Sassocorvaro ‒ cittadina che con Auditore dà vita all’omonimo Comune. Il maniero domina le colline, la valle del Foglia e il lago artificiale sottostante: a secoli di distanza dalla costruzione, i suoi bastioni bombati disegnano ancora nell’aria moniti circolari di invincibilità e potenza. Cerchi e curve sono le linee ricorrenti delle sue mura e dei suoi torrioni, edificati dal 1475 per difendere gli interessi di Federico da Montefeltro dalle bombarde di Sigismondo Malatesta: due acerrimi rivali per l’egemonia sull’intera zona, che distrussero più volte la cittadina e le fortificazioni preesistenti: questa è storia, ma per chi ne scrive oggi è il racconto meno appassionante di tutti. La rocca di Sassocorvaro infatti non è semplicemente un castello e a costruirla non furono solo le volontà del duca di Urbino o i progetti di Francesco di Giorgio Martini. Tra le scale a chiocciola, i cortili e i corridoi risuonano le eco di altri protagonisti; altri uomini hanno segnato il destino di questo luogo e oggi tornano a raccontare di sé dopo anni e dopo secoli.

Perché questo castello ha la forma di una tartaruga? Perché è una fortezza fuori e un palazzo rinascimentale dentro? Cosa significano certi simboli sopra i portali, che ricordano tube e spermatozoi? Cosa ci fa il greenman sulle decorazioni di un camino?Immagine 0Simboli del greenman sul camino dello studio di Ottaviano Ubaldini, rocca di Sassocorvaro (foto di V. Canavesi)

A oggi non abbiamo risposte definitive. C’è invece una domanda, la più importante, quella che può aiutare a risolvere tutti gli enigmi di questo luogo: chi è il suo artefice occulto, colui che qui visse per anni? Si tratta di un personaggio incredibile, eppure condannato da secoli a un’ufficiosa quanto efficace damnatio memoriae: stiamo parlando di Ottaviano Ubaldini della Carda, alchimista e scienziato, signore di Sassocorvaro e conte di Mercatello sul Metauro, alter ego di Federico da Montefeltro nella guida di Urbino e ‒ secondo le ultime ricerche ‒ probabile, amatissimo fratello. Le effigi dei due Principi compaiono in un bassorilievo del palazzo ducale della città, opera del medesimo Francesco di Giorgio Martini: sono ritratti sul medesimo piano e si guardano negli occhi; il duca è rappresentato con l’armatura e le insegne militari; il conte con un ramo di ulivo e i libri della conoscenza, uno aperto e l’altro chiuso. Anche a Mercatello si trovano le loro immagini scolpite in due tondi, in uguali dimensioni e nelle medesime pose: un segnale della pari dignità, autorità e autorevolezza che entrambi incarnavano ed esercitavano al tempo.Immagine 1Tondi di Domenico Rosselli raffiguranti, da sinistra, Ottaviano Ubaldini della Carda e Federico da Montefeltro, Museo di S. Francesco, Mercatello sul Metauro (foto di V. Canavesi)

Molte pagine devono ancora essere scritte dalla storiografia ufficiale, ma qualche tassello del puzzle sta iniziando ad andare al suo posto: Ottaviano, uomo di immensa cultura, fu consigliere personale dei Visconti a Milano e venne richiamato a Urbino proprio da Federico. Certamente era lui a governare la città mentre il duca conduceva lontano le sue terribili campagne militari; a lui venne affidato il figlio di Federico, Guidubaldo; senz’altro lui contribuì a ingaggiare nel ducato i migliori artisti del tempo (tra gli altri, Piero della Francesca e Paolo Uccello). E fu lui a vivere nella rocca di Sassocorvaro, partecipando attivamente al progetto e alla costruzione di questa dimora, filosofale più che militare. Qui, ancora oggi, questo personaggio bandito dalle cronache ufficiali ci parla attraverso giochi di luce, simboli occulti, messaggi misteriosi e arcani rimandi ‒ da scoprire passo passo insieme a una delle bravissime guide che accompagnano al castello. Ogni stanza, ogni fregio, ogni dettaglio sembra messo lì per raccontarci un’altra storia, ancora nascosta nel tomo chiuso che accompagna l’effigie del padrone di casa. Con fatica, studiosi come Luigi Michelini Tocci e Andrea Aromatico ne hanno sfogliato le prime pagine, ma molto lavoro è ancora da fare per restituire a questo mecenate il ruolo che gli spetta nella storia.

Un libro spalancato ‒ purtroppo non letto dai più ‒ è invece quello che narra la straordinaria vicenda di Pasquale Rotondi, l’altro protagonista della rocca di Sassocorvaro. Storico dell’arte e sovrintendente delle Marche dal 1939, fu artefice del più importante salvataggio di capolavori italiani durante la Seconda guerra mondiale. Se oggi possiamo ancora ammirare ‒ tra gli altri ‒ la Tempesta del Giorgione, l’Annunciazione del Perugino, la Flagellazione di Piero della Francesca lo dobbiamo a questo signore gentile e discreto, profondo conoscitore e amante dell’arte che in questo maniero nascose alle bombe prima e ai nazisti poi ben 6.509 pezzi tra quadri, sculture, pale d’altare, manufatti, libri antichi. Lo fece da solo, con pochissimi aiuti e lavorando in gran segreto: qui intorno sono in tanti a ricordare ancora i suoi silenzi, i tanti su e giù per le colline a bordo di una vecchia Balilla, gli infiniti viavai dietro un camion carico di casse di legno.

Ottaviano Ubaldini e Pasquale Rotondi: due uomini, due epoche, due visioni della vita ispirate dal medesimo, smisurato amore per la cultura e per la conoscenza. Un amore che risuona qui, per sempre, alla rocca di Sassocorvaro.

Si ringraziano Silvano Tiberi e le guide della roccaImmagine 2La rocca di Sassocorvaro (foto di V. Canavesi). In copertina un dettaglio

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