L’ansia da prestazione sonora è il cruccio e l’Eldorado degli audiofili.
In campo musicale, il passaggio da supporti fisici a formati digitali ha di fatto accentuato lo scetticismo circa la fedeltà in termini di qualità audio: I puristi cercano soluzioni che non comportino perdite nello spettro sonoro; temono che i tagli imposti dagli algoritmi di compressione possano mortificare la resa di un brano musicale e ritengono che la qualità media dei prodotti disponibili non sia soddisfacente.

L’alta fedeltà è appunto la chiave di volta dell’universo discografico, nonché la ragione per cui consideriamo l’ascolto di musica registrata una valida alternativa (oppure un palliativo) per un concerto dal vivo.
Sia diffusa nell’ambiente da un impianto stereo, sia trasmessa da cuffie, in solitudine o compagnia, la melodia allieta e consola a comando. Esiste a nostro uso e consumo, non è eseguita in tempo reale da musicisti in carne e ossa.
Altrimenti non potremmo accenderla e spegnerla, regolarne il volume e impostarne l’equalizzazione, archiviarla, scambiarla, farne dono e soprattutto portarla con noi. Facciamo tutto questo perché ne vale la pena: la maggior parte dei comuni mortali non può permettersi un’orchestra che si esibisca su richiesta, disponibile a tempo pieno, ovunque e in qualunque circostanza.
Non è solo una questione di reperibilità, bensì di somiglianza: il segnale sonoro percepito dalle orecchie (e dalla mente) è assai verosimile.
Se frequenza di campionamento e profondità di bit vengono elette unità di misura per determinare la qualità di un file audio, viene naturale pensare che portando ai massimi livelli entrambi i fattori si possa ottenere maggiore pulizia di suono e ricchezza di dettagli.
Non è così (semplice).
Migliore è la qualità dell’incisione, maggiore la sua fedeltà nel riprodurre l’originale. Dobbiamo tuttavia fare i conti coi limiti umani e tecnologici. L’alta definizione di una registrazione è una condizione necessaria ma non sufficiente per soddisfare i requisiti di qualità: sono coinvolti anche i sistemi di diffusione del suono (apparato tecnologico) e gli organi di percezione (apparato uditivo). 
Ammesso di utilizzare un campione sonoro in alta risoluzione, occorre considerare il potenziale dell’hardware disponibile e la portata dell’udito umano. L’ultima, non c’è scampo, dipende da Madre Natura.
Il campionamento (non compresso) a 44.1 kHz / 16 bit, divenuto lo standard dei compact disk, cattura tutte le frequenze fino a 22 kHz - secondo il teorema del campionamento di Nyquist-Shannon.
Stando alle teorie di psicoacustica, quella disciplina scientifica che studia la percezione soggettiva dei suoni attraverso udito e cervello, le orecchie (e le menti) umane non sono in grado di captare alcun suono oltre i 20 kHz. Test a doppio cieco hanno dimostrato come questo limite fisiologico sia un dato di fatto. Pochi individui sono dotati di un udito capace di classificare con precisione livelli qualitativi più alti della media.
Il formato CD è dunque valido, in quanto abbondantemente provvisto di tutte le frequenze necessarie e comprensivo di un margine per il noise shaping. Col tempo si è passati all’ascolto di file compressi in quanto più comodi e facili da trasferire, benché essi non costituiscano l’eccellenza e comportino un degrado (poco evidente nell’uso tipico da parte di utenti con dispositivi e cuffie non professionali).
L’MP3 - il formato più diffuso - pur rinunciando a una notevole quantità di dati e impoverendo il tessuto musicale (applicando modelli psicoacustici) al fine di limitare lo spazio occupato in memoria, può garantire prestazioni quasi indistinguibili a quelle di un CD.
Poco importa che gli MP3 siano file leggeri (compressi appunto) in quanto riescono a offrire un panorama sonoro pressoché conforme a quello dei normali CD, a patto che siano codificati con un bit rate - quantità di dati trasmessi al secondo, unità che corrisponde al grado di compressione - di 160 kbps o superiore, fino a un massimo di 320 kbps.
Non esistono solo gli MP3, la musica compressa può declinarsi in diversi formati, per esempio l’AAC adottato da iTunes.
Ciononostante, qualcuno afferma che i valori standard di 44.1 kHz / 16 bit, compressi o meno, non siano sufficienti.
Aspirare a livelli qualitativi più elevati non è di per sé un proposito sbagliato ma spesso finisce per alimentare un mercato di hardware costoso (se non di lusso) e assolutamente non necessario, poiché inutile.
È facile credere di aver bisogno di apparecchi danarosi, quando ci si illude che qualità e prezzo vadano di pari passo.
Vero che la qualità della strumentazione influisce sulla resa del suono, ma non si può in ogni caso infrangere le barriere che dipendono dalla nostra biologia.
Esistono prodotti che promettono un’esperienza di ascolto senza pari: l’ultimo sbarcato sul mercato dell’alta definizione sonora è il PonoPlayer, venduto a $400 e promosso da Neil Young.
È un lettore portatile di musica digitale, ma funziona esclusivamente con file del formato proprietario, caratterizzati da un campionamento di ben 192 kHz / 24 bit. 
Il cantante e compositore è da sempre sostenitore del “movimento dell’alta definizione musicale”. Il PonoPlayer è la più recente incarnazione delle battaglie condotte dal rocker per avvalorare la possibilità (e relativa necessità per i veri intenditori) di un audio sopraffino. Migliore di quanto già presente in commercio, ma accessibile solo per chi è disposto a coltivare questa passione e investire.
La codifica dei brani a 192 kHz / 24 bit richiede uno spazio di memoria enorme, se confrontato con quello occupato dagli MP3, ma la montagna di informazioni extra dovrebbe assicurare una dose di emozioni “da scoprire”. Si tratterebbe della migliore esperienza d’ascolto, seconda solo ai concerti dal vivo.
L’evidenza scientifica dimostra che oltre i confini naturali del nostro udito non possiamo avventurarci, né sbirciare, anche se la fonte sonora vanta più colori di quelli a noi visibili.
I 24 bit potrebbero avere senso in condizioni ideali (con impianti di ottima fattura e una sala insonorizzata), ma non nelle ordinarie circostanze domestiche, laddove il rumore di fondo è un disturbo continuo.
L’alta qualità serve in fase di incisione e post-produzione, oppure per arricchire edizioni da collezione in quanto più vicine alle intenzioni dell’artista (a patto di ascoltarle su un impianto adeguato e con un discreto isolamento acustico); riguarda in genere più gli album registrati in studio e meno i live. Questo perché è pressoché impossibile replicare l’esperienza dal vivo, dove le variabili dipendono dalle dimensioni e dalla configurazione ambientale, dal numero di persone e da altri fattori non riproducibili.
Esistono da tempo file compressi di qualità superiore, per esempio i FLAC, che rimpiccioliscono il file originale senza perdere alcun dato e il processo è reversibile: si può decomprimere per riavere il contenuto d’origine, al contrario degli MP3 che alterano irrimediabilmente i dati.
Non è una novità quella presentata da Young, al di là del formato proprietario, servizi come HDtracks distribuiscono già musica in alta risoluzione.
Lo store online lanciato da PonoMusic vuole semplicemente fare concorrenza ad altri negozi, proponendo un catalogo discografico trito e ritrito: le solite vecchie incisioni che possiamo ascoltare altrove in ottima qualità. Forse è questa la ragione che ha spinto i responsabili marketing di Pono a inventare un nuovo dispositivo e un formato digitale inedito; ponendo l’accento su una novità creata ad hoc per scopi pubblicitari.

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