Palermo è la Capitale italiana della cultura per il 2018: la conferma ufficiale è arrivata il 21 luglio scorso con la delibera del Consiglio dei ministri che ha confermato la candidatura dello scorso gennaio, accettata, si leggeva nelle motivazioni della giuria, per il suo progetto «di elevato valore culturale e di grande respiro umanitario», con il quale il capoluogo siciliano ha battuto Alghero, Aquileia, Comacchio, Ercolano, Montebelluna, Recanati, Settimo Torinese e Trento. Il prestigioso titolo va a sommarsi alla designazione, anch’essa già certa, di Palermo come sede dell’importantissima biennale itinerante europea di arte contemporanea Manifesta, che dopo la tappa del 2016 di Zurigo approderà in Sicilia per la sua dodicesima edizione.

Si preannuncia quindi un anno denso di cultura per una città che vanta un patrimonio storico, artistico e architettonico unico al mondo, eccezionale sintesi delle civiltà che hanno contribuito a plasmarla, dalle vestigia greche e romane alle architetture arabe e normanne, e che dal 2015 formano, tra l’altro, il sito seriale UNESCO Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale.

A questi monumenti andranno ad aggiungersi, nel progetto presentato dalla città, le eccellenze culturali di Castelbuono, con il suo Museo civico «che si è distinto negli ultimi anni per la capacità di coniugare tradizioni e arte contemporanea» e Bagheria, sede del Museo Guttuso.

Ma ciò che ha reso vincente il progetto palermitano è appunto l’integrazione tra la dimensione culturale e quella umanitaria: la città della splendida lapide quadrilingue conservata al Palazzo della Zisa, simbolo del dialogo tra più culture fin dal 1149, si candida a essere capitale dell’accoglienza e della difesa del diritto alla cultura per tutti, cittadini e migranti, nell’ottica di portare avanti, come si legge nel dossier di candidatura, una «visione politica mediterranea ispirata ai principi fondativi dell’Europa ed al riconoscimento dei diritti umani universali». Da qui, dunque, l’idea del Festival delle letterature migranti, vero e proprio cuore del progetto, che si propone di tracciare le storie che accompagnano i popoli nei loro movimenti, perché, come recita un bel detto siciliano, «Cu avi lingua, passa u mari»; cioè, parafrasando, chi ha accesso alla cultura può fare qualsiasi cosa, anche “attraversare il mare” lasciandosi alle spalle infinite sofferenze per costruirsi una seconda possibilità.