È capitato a tutti, osservando una mappa geografica del mondo: concentrarci sulla Groenlandia, quella sterminata landa bianca tra l’Europa e il Nord America che appare estesa quasi quanto l’Africa. Non tutti però sono consapevoli che le reali dimensioni della Groenlandia sono simili a quelle della sola Repubblica Democratica del Congo: la superficie reale del continente africano è quasi quindici volte superiore a quella dell’isola danese. Dare la colpa a Mercatore, pseudonimo di Gerhard Kremer che nel 1569 pubblicò la proiezione cartografica del nostro pianeta tutt’ora più diffusa, sarebbe ingeneroso. Il geografo fiammingo finì anche in carcere per la sua attività scientifica in odor di eresia, e la sua opera ha avuto grandi meriti: a cominciare dallo scopo ‒ più o meno raggiunto – di agevolare la navigazione preservando gli angoli con cui le navi tagliano i meridiani, fino all’introduzione del neologismo atlante (dal titolo della sua raccolta di carte geografiche Atlas; l’immagine di Atlas a sorreggere il mondo campeggiava sulle edizioni delle opere di Mercatore).
Tra le sue eredità c’è tuttavia la grande distorsione dei territori ‒ si dilatano man mano che si va verso i poli ‒ e anche la risoluta posizione centrale dell’Europa: in questo modo, come argomenta Piero Bianucci in Pellegrini dell’universo (Solferino, 2022), «la cultura occidentale trionfava e dominava il pianeta, e per motivi storici e geopolitici se ne avvantaggiavano i paesi più sviluppati». D’altra parte così come non è possibile la quadratura del cerchio, allo stesso modo non è possibile sviluppare una sfera su un piano; lo dimostrò il matematico Gauss nel 1821. La rappresentazione grafica del nostro pianeta, che nel mondo antico era stata materia filosofica connessa con la cosmologia (non deve sorprendere che molte tra le accurate mappe dell’epoca, come quella dell’astronomo Eratostene, tenessero già conto della sfericità della terra) si acclarò come materia politica nel 1973, quando il tedesco Arno Peters presentò la sua proiezione. Democratica, in quanto intendeva rispettare le proporzioni tra territori: ogni centimetro quadrato della sua mappa corrispondeva a una precisa porzione terrestre di poco più di 60 mila chilometri quadrati. Culturalmente figlia delle contestazioni del Sessantotto e della decolonizzazione, la mappa, inizialmente bestseller, fu criticata perché comunque distorsiva e troppo simile a quella ortografica dello scozzese Gall di un secolo prima per non far gridare al plagio, e cadde rapidamente in disuso.
Oggi con Google Earth le mappe hanno una risoluzione nell’ordine di centimetri, avvicinandosi potenzialmente a quella teorica scala 1:1 vagheggiata da Borges e Umberto Eco come esercizio letterario; al netto delle censure di alcuni Paesi che, sentendosi minacciati nella sicurezza, hanno imposto censure più o meno estese al gigante di Mountain View. Ma la questione concettuale rimane: sono nati movimenti per affrontare il paradosso di uno strumento nato per aiutarci nell’orientamento nel mondo ma che rischia di cristallizzarsi in un pensiero limitante e arbitrario. Lo pensava l’australiano Stuart McArthur, autore negli anni Ottanta dell’omonima Universal Corrective World Map: stufo delle prese in giro degli amici americani e giapponesi sulla posizione in basso della sua terra rovesciò e traslò la sua mappa, che si presenta con il Sud in alto e l’Australia al centro. Il suo planisfero ebbe un incredibile successo in tutti i Paesi dell’emisfero australe e rappresentò il ritorno alla tradizione dimenticata di non utilizzare il Nord come unico riferimento delle mappe: molte di quelle antiche avevano come riferimento l’Est per il sorgere del sole o il Sud per favorire la navigazione in quella direzione.
In tempi recenti, nello stesso periodo in cui Piero Angela suggeriva al MIUR (il ministero dell’Istruzione) di adottare nelle classi scolastiche mappe rovesciate per stimolare la creatività e la cartografa-artista Sabine Réthoré (in copertina la sua opera Méditerranée Sans Frontières) proponeva le sue mappe-opere prive di orientamento, proprio in Italia nasceva l’ingegnoso Movimento per la liberazione dei mappamondi dai loro supporti universali per diventare locali e democratici, su impulso di Nicoletta Lanciano, docente di Didattica delle Scienze all’Università di Roma Sapienza. La proposta didattica consiste nel portare il mappamondo all’aperto, orientato omoteticamente con il proprio territorio in alto: in questo modo perdono di senso i riferimenti cardinali e si può osservare un modello del nostro pianeta come è esattamente in quel momento. «Il nostro progetto è stato tradotto in tante lingue, non prioritariamente in inglese – afferma Lanciano – ed è stato molto discusso in convegni, specie in Sudamerica, dove il metodo è diventato diffuso. Da noi la sfasatura di Mercatore non fa grande differenza, ma la percezione cambia moltissimo per chi abita in Sudafrica o Patagonia. In Nuova Zelanda ci è stato riportato, ad esempio, che molti bambini hanno difficoltà a capire come il sole va su nel cielo. Teniamo particolarmente all’aspetto di uguaglianza e democrazia che ne consegue: il Nord in alto l’ha imposto chi decideva per tutti, ma gli astronauti ci insegnano che è il nostro pianeta è una sfera sospesa senza alto e basso».