Tra le tante melodie che hanno segnato in modo indelebile la storia del cinema, ce n’è una che, nonostante fosse composta solo di cinque note – Sol(4) - La(4) - Fa(4) - Fa(3) - Do(4) – ha finito per incarnare, e non solo tra gli appassionati di fantascienza, la possibilità di comunicare pacificamente anche quando in apparenza non c’è nessun codice che gli interlocutori condividano. Questo, infatti, è il senso profondo di un cult del cinema mondiale come Incontri ravvicinati del terzo tipo, uscito negli Stati Uniti il 16 novembre 1977 segnando una nuova era nell’immaginario fantascientifico postbellico. Scritto, sceneggiato e diretto da uno Steven Spielberg allora appena trentunenne ma già salito alla ribalta l’anno precedente con Lo squalo, il terzo lungometraggio del regista quattro volte premio Oscar si distanziava ampiamente dalla precedente opera, che aveva ottenuto il successo soprattutto per l’orrore suscitato negli spettatori.

Incontri ravvicinati, al contrario, divenne l’emblema del cinema di pace, veicolo di valori positivi e dello scambio tra culture diverse. Mentre l’alieno, nel cinema americano precedente, aveva sempre rappresentato il nemico, l’invasore – sublimando, di volta in volta, il nazismo o il nemico sovietico – con questa pellicola profondamente poetica e di grande impatto visivo e psicologico assistiamo alla messa in scena della costruzione di un dialogo possibile, attraverso una nuova lingua fatta di suoni e gesti. Sulla medesima traccia si muoverà nel 2016 Arrival, acclamata opera di Denis Villeneuve**,** in cui sono il disegno, il simbolo, la traccia grafica a sostituire la musica come linguaggio universale di comunicazione tra mondi.

Ma la capacità evocativa del film di Spielberg, che si regge anche sulla colonna sonora scritta da John Williams e sulla scelta di incentrare la narrazione su un monumento naturale iconico come la Torre del Diavolo nel Wyoming, resta un unicum, che non a caso ha ottenuto il plauso di alcuni tra i maggiori registi della storia del cinema: Jean Renoir lo elevò alla stregua dei racconti di Jules Verne e Georges Méliès; François Truffaut vi comparve come protagonista; Ray Bradbury, autore del distopico Farhenheit 451, lo definì addirittura «il miglior film di fantascienza mai realizzato». Un successo, dunque, immediato e intramontabile, coronato nel 2007 dal suo inserimento nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America.

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