L’arte del dire, nota come arte retorica, è un sistema di regole e di procedimenti che abilita l’oratore a costruire un discorso finalizzato a persuadere un uditorio della credibilità o accettabilità di un’affermazione; gli antichi attribuivano a una affermazione credibile o accettabile il carattere del verosimile; la persuasione viene conseguita mediante procedimenti verbali, gli uni dimostrativi e diretti alla convinzione, gli altri diretti a produrre emozione, commozione, coinvolgimento estetico e psichico in generale. La retorica fu inventata dagli antichi Greci: gli antichi Romani la diffusero, tradotta e rielaborata in lingua latina, nella parte occidentale d’Europa; Aristotele e Cicerone collegarono l’apparizione della retorica con la caduta della tirannide nella colonia greca di Siracusa e nella Sicilia orientale da essa dipendente, e con i processi là intentati per il ricupero dei patrimoni confiscati al momento della presa del potere da parte dei tiranni. I processi avvennero a Siracusa nel V secolo a.C.
Nelle città greche di età arcaica sembra non esistesse il catasto. Era dunque impossibile o molto difficile disporre al di fuori di ogni dubbio di titoli di proprietà; tale difficoltà o l’assenza di documenti attestanti il diritto di proprietà esigevano da parte dell’attore della causa uno sforzo per riuscire convincente e persuasivo nel confronto con i giudici. La procedura giudiziaria greca obbligava il cittadino, che agiva o era chiamato in tribunale, a pronunciare personalmente il discorso d’accusa o di difesa. Il logografo o scrittore di discorsi provvedeva al cittadino, che ne avesse bisogno, un discorso adatto alla situazione. Cicerone scrive: «allora per la prima volta, poiché quella popolazione è di mente acuta e per natura <incline alle> controversie legali, i siciliani Corace e Tisia composero per iscritto un’arte e delle regole». Corace di Siracusa fu forse uno di questi logografi o scrittori di discorsi: sembra verosimile che nell’esercizio della sua attività egli abbia pensato di formalizzare le regole per la composizione di un discorso giudiziale; oggetto della sua opera sarebbe stata principalmente la ripartizione del discorso in quattro parti: esordio, narrazione, argomentazione, epilogo, cui forse si può aggiungere la digressione. Dopo la caduta della tirannide, stabilita la democrazia, Corace avrebbe usato della propria oratoria per guidare il popolo.
L’approccio al problema può essere capovolto: politica e retorica. L’oratore, che possiede l’arte del dire, cioè la retorica, possiede lo strumento per esercitare la politica nei governi nei quali il potere si realizza in assemblea o consiglio. Rispunta la voce di Omero, qui attraverso un vecchio saggio re, Fenice, che definisce la formazione ideale del nobile Acheo (qui Achille) come «oratore di discorsi e uomo d’azione»; dunque «politico».
Si individuano a questo punto le tre operazioni della retorica: l’invenzione (trovare le cose da dire mediante i luoghi, la topica), la disposizione (l’ordine dell’esposizione), l’elocuzione (lo stile); i luoghi sono degli spazi concettuali da cui ricavare idee e argomenti (i Greci li chiamavano ‘punti di partenza’): per esempio, i luoghi comuni reale/non reale, possibile/impossibile, più/meno, ovvero: discorso del genere giudiziale, del genere deliberativo, del genere epidittico (lodare/biasimare).
In particolare, l’invenzione produce nell’orazione l’argomentazione, mentre la narrazione è regolata dalle sette circostanze, precorritrici delle cinque W (who, what, when, where, why), le regole del bravo cronista: chi, che cosa, dove, con quali mezzi, perché, come, quando. La retorica mediante l’inventio e la topica (dottrina dei luoghi) insegnava a trovare fatti e cose. Accanto a questa retorica ‘tecnicistica’ circolava nel V secolo in Sicilia e nella Magna Grecia un’altra retorica, di origine pitagorica, psicagogica, cioè diretta a persuadere mediante il fascino del discorso artistico; fondamentale l’adattamento dello stile e dei temi agli ascoltatori. Vi saranno discorsi adatti ai ragazzi, alle donne, agli uomini politici, ai giovani: la verità è oggetto di un ragionamento filosofico; sull’opinione agisce il fascino “magico” della parola.
Gli antichi, dunque, vedevano bene la funzione e la potenza della retorica nella sfera politica: Gorgia riassume gli effetti prodotti dal discorso: «Il discorso è un potente signore, il quale con un corpo piccolissimo ed invisibile compie opere divinissime: infatti, ha il potere di arrestare la paura e di togliere il dolore e di suscitare la gioia e di accrescere la compassione». In realtà la retorica principalmente mediante l’inventio e la topica insegnava a ordinare fatti e cose; per questo essa è stata la base della formazione culturale della minoranza istruita dei popoli che furono parte della civiltà classica. Un esempio significativo di questa funzione è offerto dalla topica delle sette circostanze: soggetto, oggetto, luogo, mezzi, causa, modo, tempo. Si comprende allora perché nell’antica Roma lo studio, prima, della retorica e poi delle leggi fosse considerato indispensabile per accedere alla carriera politica in età repubblicana e ancor più a quella di funzionario in età imperiale.
In conclusione, la retorica si guadagnò la posizione di strumento principe della politica in quanto scuola di oratoria. Nel II secolo d.C. Taziano, nella Oratio ad Graecos, testimonia la diffusione e l’intensità dell’ostilità dei cristiani alle acquisizioni della cultura classica, in questo caso greca, specialmente alla letteratura, alla filosofia, alla retorica: «avete prodotto la retorica per l’ingiustizia e la calunnia, vendendo a mercede la piena disponibilità dei vostri discorsi e spesso mostrando ciò che è giusto come un male e viceversa». Le scuole perpetuarono per la durata dell’Impero romano d’Oriente (XV secolo: 1453 caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi) l’insegnamento della retorica; in Occidente la retorica e le sue scuole perdurarono anche dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476), anzi ebbero una rinascita promossa da Carlomagno (742/747-814) per opera di Alcuino (732/735-804) prima direttore della Scuola della cattedrale di York, poi per invito di Carlomagno della Scuola di Aquisgrana. La fine ufficiale dell’insegnamento della retorica nelle università e nei licei avviene in Europa nel corso del XIX secolo sostituendo all’insegnamento di Eloquenza e Retorica quello di Letteratura (seguita dall’aggettivo di nazionalità: del resto l’Ottocento è appunto il secolo dei risorgimenti nazionali, che eliminano i residui della cultura sovranazionale o europea).
«La retorica ha regnato in Occidente per due millenni e mezzo, da Gorgia a Napoleone III; ha digerito regimi, religioni, civiltà; moribonda fin dal rinascimento, impiega tre secoli a morire, e non è ancora certo se sia morta» (R. Barthes). La fine della retorica produce l’apparizione di opere sistematiche che ne riuniscono e trasmettono la dottrina.
Nella prassi politica del nostro tempo e del recente passato si rileva la presenza di oratori da comizio, che parlano direttamente al popolo, realizzando la figura di pensiero dell’oratore che condivide il proprio ragionamento con l’uditorio (communicatio).