Tempi duri per le grandi riviste scientifiche, se a fare gli idealisti dell’open access ci si mettono pure i premi Nobel. Poco prima di ritirare il premio per la Medicina e Fisiologia dalle mani del re di Svezia, uno dei vincitori di quest’anno, lo statunitense Randy Schekman, ha annunciato che il suo laboratorio dal prossimo anno boicotterà Nature, Science, Cell e le altre grandi riviste che dominano il dibattito scientifico internazionale: quelle, insomma, su cui ogni ricercatore sogna di pubblicare fin dal giorno della laurea.

Secondo Scheckman, che ha spiegato le sue ragioni in un articolo sul Guardian, queste riviste stanno “danneggiando” la scienza. “Dovrebbero essere il simbolo stesso della qualità scientifica, e pubblicare solo la migliore ricerca. Dato che le assegnazioni di fondi e le progressioni di carriera si basano spesso sulla rivista in cui i ricercatori pubblicano i loro studi, apparire in queste riviste vuol dire spesso avere fondi e cattedre. Ma questa reputazione è meritata solo in parte. È vero che pubblicano molti studi di alto livello, ma non pubblicano solo studi di alto livello, e non sono gli unici a farlo”.

Secondo Schekman, la competizione per pubblicare su riviste “di lusso” come Nature, Science e Cell porta i ricercatori a scegliere le linee di ricerca più trendy trascurandone altre più importanti ma meno di moda. Un altro problema, spiega il neo Nobel, sono gli editor di quelle riviste, che spesso non sono scienziati di professione ma piuttosto manager editoriali che scelgono gli studi da pubblicare con un occhio a quanto piaceranno ai telegiornali. "Proprio come Wall Street deve liberarsi dalla cultura dei bonus (gli incentivi dati ai manager per premiare i risultati di breve periodo in borsa, ndr), così la scienza deve superare la tirannia delle grandi riviste”, scrive Schekman.

Il quale, sia chiaro, ha i suoi interessi. Dirige infatti eLife, una rivista online creata dal Wellcome Trust, in cui gli studi vengono discussi da un gruppo di revisori (tutti e solo scienziati in piena attività) e una volta accettati sono messi online e accessibili gratuitamente. A differenza di Nature e Science, che nascono come riviste cartacee e pubblicano solo un ristretto numero di studi alla settimana, eLife non ha limiti di spazio e quindi, sempre secondo Scheckman, non gonfia artificialmente la “domanda” per alzare il valore delle pubblicazioni. Chiaro che eLife si pone come concorrente delle grandi riviste, e che il suo editor perora la propria causa.

Tuttavia la polemica di Scheckman si inserisce in un malcontento sempre più diffuso nella comunità scientifica, rivolto verso le grandi riviste ma soprattutto verso un sistema comunemente utilizzato per stilare graduatorie tra i giornali e i ricercatori, il cosiddetto impact factor, che misura quanto spesso gli studi pubblicati da una rivista vengono citati da altri studi. L’altro corno della polemica è quello dell’accesso agli studi pubblicati: Nature, Science e Cell (e centinaia di altre riviste) richiedono un abbonamento ai propri lettori, mentre eLife (come Public LIbrary of Science e un ristretto ma crescente numero di altre pubblicazioni) sono liberamente accessibili, ma chiedono un contributo economico agli autori dello studio per la sua pubblicazione.

I direttori delle grandi riviste naturalmente hanno risposto, sulle pagine dello stesso Guardian, ricordando che il loro lavoro editoriale (selezionare i migliori studi e presentarli nel modo migliore, anche ai media generalisti) comporta costi di produzione notevoli, che giustificano i prezzi degli abbonamenti. E che comunque la loro priorità è selezionare gli studi in base al loro valore, non ai titoli di tabloid che ne seguiranno. Quanto all’impact factor, lo stesso Philip Campbell, direttore di Nature, ha ammesso che il sistema fa acqua o quantomeno che molti tendono a fidarsene troppo. “Io e i miei colleghi abbiamo espresso perplessità sull’eccessiva importanza data all’impact factor molte volte, nelle pagine di Nature e altrove” ha spiegato.

Insomma, si prepara un altro anno di passione per l’editoria scientifica, che volente o nolente è chiamata a reinventarsi o cambiare almeno in parte il proprio modus operandi.

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