Considerato il maestro del giornalismo televisivo, ammirato, evocato, imitato, il faro per chiunque volesse realizzare un’inchiesta per immagini o un programma che potesse diventare parte della nostra memoria collettiva. Sergio Zavoli è entrato per decenni nelle case di milioni di italiani con parole mai banali, immagini rimaste impresse nella nostra mente, analisi attente e appassionate. È l’essenza del racconto televisivo che Zavoli vedeva come contributo perfettibile alla formazione della conoscenza-coscienza del telespettatore-cittadino. Il servizio pubblico radiotelevisivo per Zavoli è sempre stato il punto di partenza, il percorso certo del suo lavoro di giornalista.

Aveva cominciato con l’incanto delle parole, una voce splendida che riempiva le piazze della provincia romagnola per declamare le cronache delle partite di calcio nel dopoguerra. Nel 1958 la sua voce entrò, per la prima volta, in un convento di clausura e incantò i radioascoltatori italiani con il documentario Clausura, premiato al Prix Italia di quell’anno. Poi vennero le mitiche interviste ai gregari del Giro d’Italia nel suo Il processo alla tappa e al campione Eddy Merckx, squalificato per doping, in lacrime davanti alla sua cinepresa nel 1969.

La cinepresa e la telecamera erano per Zavoli ‘l’occhio della regina’ e spesso quell’occhio rispondeva al nome di Franco Lazzaretti, il bravissimo cineoperatore che lo accompagnò nelle sue grandi inchieste, da TV7 a La Notte della Repubblica. Erano insieme in Belice, nel 1968, a poche ore dal terremoto che devastò quell’angolo antico e sconosciuto della Sicilia più profonda. A Montevago, tra le macerie fumanti del paese distrutto, avanza una sagoma magra, che cammina a fatica. È il vicebrigadiere dei carabinieri, un ragazzo del Nord, che attraversa impaurito e incredulo quelle strade dove fino a qualche ora prima c’era stata la vita. La cinepresa – l’occhio della regina – istintivamente lo segue, propone, con lui, le emozioni e le dimensioni di quella tragedia. Ne viene fuori un racconto incredibile, che non lascia un respiro, 12 minuti di grande televisione.

Secondo Zavoli – come spiegato in un’intervista al Radiocorriere TV del 2014 – la nascita della televisione pubblica ha modificato la comunicazione e di conseguenza la società «allo stesso modo in cui i caratteri di stampa, il telescopio, la dinamite, il cemento armato, il petrolio, l’atomo, il genoma hanno cambiato il volto e il destino dell’umanità». La Rai ha aperto la strada all’alfabetizzazione, ha dato agli italiani una lingua comune, ha promosso la vicinanza tra popolo e Paese, ha favorito la crescita e le qualità della vita sociale, culturale, economica, imprimendo sui fatti il segno, per la verità non sempre esemplare, della modernità. Questo era il servizio pubblico per Sergio Zavoli, classe 1923, scomparso nel 2020 e presto dimenticato. Una vera e propria missione che ha continuato anche negli anni difficili in cui, mentre teneva le redini dell’azienda come presidente, si affacciava, aggressivo e molto ricco, un concorrente che si apprestava a diventare il più grande soggetto privato nel settore della televisione.

La sua riflessione su quel periodo è acuta, pacata ma implacabile e lungimirante: «Venivamo dai latifondi ideologici, poi dai compromessi della lottizzazione, infine stava salendo il progetto di una forma pluralista della politica riassunta in ‘impresa privata incaricata di servizio pubblico’. Il mercato stava diventando una risorsa del Paese, occorreva solo confrontarsi, distinguendo la ‘nostra’ dalla televisione ‘altrui’, non assumendo le forme, e meno ancora gli interessi, di una televisione commerciale seppure di rango. Invece, per paura di perdere ascolto, anziché dar forza e identità ulteriori al nostro modello ci fu uno strisciante appiattimento sulle modalità e il linguaggio della concorrenza».

Da allora, per Zavoli, è cominciato il declino, inarrestabile, del servizio pubblico radiotelevisivo, così

come è stato concepito e realizzato nelle democrazie, un declino dove anche un ‘maestro’ come lui veniva appena ‘tollerato’ perché i suoi programmi costavano molto, avevano bisogno di un grande lavoro di preparazione e non rendevano in termini di ascolto, poco appetibili per gli inserzionisti pubblicitari. Programmi come La notte della Repubblica, in onda a partire dalla sera del 12 dicembre 1989, esattamente 20 anni dopo la strage di piazza Fontana a Milano, monumentale inchiesta sugli anni del terrorismo e della strategia della tensione, o come Nascita di una dittatura del 1972, dove per la prima volta, parlavano, davanti a una telecamera, i protagonisti dell’avvento del fascismo. Ma quelli erano altri tempi, il 1972, dove la Rai esercitava il suo monopolio culturale proponendo un’offerta editoriale di livello, premiata dagli ascolti in esclusiva. Quei suoi programmi sono diventati documenti storici, fonte per i ricercatori che verranno. Programmi in cui il linguaggio impressiona per la modernità: La notte della Repubblica sembra un contemporaneo videogioco, costruito come un racconto a più livelli, in cui entrare per conoscere altre cose, approfondire, capire.

La sua voce, calda e avvolgente, riusciva a dare corpo e vita a quelle notizie tristi che non vorremmo mai ascoltare. Come quando, da conduttore del telegiornale, dette così l’annuncio del suicidio di Luigi Tenco, la sera dopo la sua esibizione al Festival di Sanremo del 1967: _«_Ora con tutta la doverosa pietà che dobbiamo a questo sfortunato ragazzo vorremmo tuttavia ricordare un verso di Giuseppe Ungaretti: la morte – ha scritto un poeta molto più povero e non sto a dirvi quanto più grande di tutti i parolieri del mondo delle canzonette – la morte, ha detto Ungaretti, si sconta vivendo».

Questo era Sergio Zavoli e non è un caso che sia stato definito, da Indro Montanelli, il principe del giornalismo televisivo.

Le citazioni sono tratte da:

Telegiornale della Sera del 27 gennaio 1967; Stefano Corradino, Il servizio pubblico tra vecchie e nuove sfide. Intervista a Sergio Zavoli, in Radiocorriere TV, 19 gennaio 2014

Immagine: Mural della Facultad de Comunicaciones a Medellín, Colombia. Crediti: Altaír Libre (CC BY-NC 2.0), attraverso www.flirck.com

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