«La solitudine era fredda, ma era anche meravigliosamente silenziosa
e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri».
Siete tutti perdonati di Enrico Dal Buono, pubblicato da La nave di Teseo, è un romanzo attuale, forse generazionale (se non ci sei dentro, avrai comunque a che fare con chi ci sguazza: li incontrerai, subirai, invidierai, amerai, odierai), un romanzo cinico e feroce. Racconta un mondo in cui tutto è esagerato, a tratti perfino fastidioso; ma, se da un lato ti disturba, subito dopo – con abili cambi di tono – ti cattura («La coscienza tace. È la tregua del tempo. La pace ha la voce dei tuoni, il colore dei lampi, per questa volta sei perdonato, ha sorriso al-Sifra, per questa volta siete tutti perdonati»).
Walter ed Eva
Siete tutti perdonati è la storia, in sintesi, del rapporto di amore e odio tra un imprenditore senza scrupoli, un arrampicatore sociale di provincia con una discutibile educazione sentimentale alle spalle («Mio padre, ex caporedattore del Resto del Carlino di Modena, mi ha dato tre comandamenti»), e una mistica totalmente folle.
Lui ha creato un’agenzia per clochard («la prima agenzia per clochard del pianeta, The Beautiful Loser. Io e il mio socio, Fucsia, siamo arrivati a centododici professionisti dell’elemosina pura distribuiti su tutta Milano. Li dotiamo di POS a celle fotovoltaiche, di cenci d’ordinanza, di cani lecca-sciure. Ne curiamo immagine e reputazione digitale») e ha reso cool l’elemosina in una Milano che celebra l’unione impossibile di due mondi inconciliabili e l’educazione caritatevole che appaga e placa i sensi di chi la pratica.
Lei, invece, è una rapper convertita all’Islam che dice di soffrire di autocombustione ed è l’unica donna dell’agenzia («Di nome farebbe Eva Colubri, è venuta su a MTV e merendine, poi è diventata una barbona: “Tutto si perde come si perde una moneta,” mi ha detto»). Le fiamme che la governano sono il fuoco purificatore che Walter – questo il nome dell’imprenditore – cerca, perché, anche se spaventato da quella donna, ne è profondamente attratto, subisce il fascino del suo segreto, del segreto che la rende altro, del segreto che lega – in fondo – tutti gli esseri umani, anche quelli persi, dannati, esagerati di questo mondo senza salvezza, che cercano un paracadute per l’abisso servendosi dei sopravvissuti («Chissà se al-Sifra intinge cotone nell’alcol infiammabile o se è davvero di un’altra specie, chissà se la Risposta è una radiazione galattica che ci incasina i cromosomi. “Un raggio da Sirio-un bacio da Dio-un antidoto al buio”»).
Walter è la somma di caratteri, distorsioni, paure e astuzie di tanti quasi quarantenni di oggi, perdenti di successo (beautiful loser, appunto), compagni di aperitivi e salotti; non è nessuno, in realtà, ma somiglia a molti, in fondo: è l’archetipo di un tipo di adulto del nostro tempo, ha un amico assurdo e folle che, come lui, è geniale, ma perduto («Dimostrerò che non è un Sapiens, dimostrerò che è un ominide. Non possono tenere in busta paga una creatura di un’altra specie, giusto? Nello statuto societario si parla di human»).
Walter è schiacciato dal contatto con la realtà, dall’abbozzo di umanità che riesce a esprimere; Walter si perde a ogni bivio, un po’ come tutti. Il Fucsia (l’amico) e Walter hanno un obiettivo: scalare le gerarchie, diventare dei veri winner, in un mondo quadripartito («La società si divide in Total Loser, Half Winner, Winner e Beautiful Loser»).
Walter però cerca anche altro, cerca la salvezza che sta nel diverso, altrove, nello strato più nascosto e primitivo della nostra umanità, in quello che, forse, non è mai cambiato: al-Sifra è per questo che nasconde la salvezza (del resto al-Sifra è lo zero ed è anche Eva, la prima donna), ma anche la distruzione e l’abisso.
Al-Sifra è l’afelio dalla brillantezza composta e borghese di Olimpia, la fidanzata di Walter: divinità dell’ordinario, altezza irraggiungibile per chi ha un iceberg di segreti, funzionale e utilitaristica; metà da esibire nella vita di società, tra misure, canoni e standard che rientrano nello stampino predisposto per lei e lui («Oggi, a trentasei anni, sono alto un metro e settantatré e mezzo. Ma i Winner sono compresi tra l’uno e ottantuno e l’uno e ottantanove. Dati alla mano»).
Olimpia non parla in rima come al-Sifra, non piega il linguaggio facendone un brodo primordiale, ma lo governa («Le tue frasi in corsivo di voce, i tuoi silenzi bianchi»); Olimpia che non basta: è perfetta in pubblico, ma non colmerebbe mai il vuoto profondo del privato di Walter («È vero, brilli moltissimo, tu, sei cento candeline sulla torta di panna. Ma a fondo ci vanno i pesanti. Servirebbe un incendio grande grandissimo incommensurabile, l’esplosione di mille giganti rosse, per illuminare l’abisso»).
«Ma la luna nuova, scambiarsi le luci e le speranze, regalare tutto al buio»
La vera speranza, però, è assente dal mondo quadripartito e senza possibilità, che respira Campari e follower, ed è nascosta tra le pieghe dell’altra storia che vive, parallela e stilisticamente opposta («Tutto era buio e mistero poco lontano dalla piccola fiamma nella sua mano e qua e là verso il fiume la neve e il ghiaccio ricoprono pozze profonde una gamba intera e bagnarsi è morire») tra le pagine del libro e che tra le sciure imperdonabili può fare solo qualche rapida comparsa («Con te mi sento come un Neandertal abituato a bacche acide e indigeste che d’un tratto assaggia un mirtillo»).
Enrico Dal Buono, Siete tutti perdonati, La nave di Teseo, 2020, pp. 208
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