Sottovento e sopravvento è un romanzo-contenitore che, mascherato da romanzo d’avventura, è in realtà un divertimento, un gioco di un appassionato di filosofia (ma anche di avventure): Guido Mina di Sospiro che usa una storia che è essenzialmente la storia di una «cerca», per provare a dirci quale siano davvero i tesori che vale la pena cercare, trovare, conservare. Non è una caccia al tesoro, e il tesoro – si vedrà alla fine – non è quello che si aspettano i due cercatori, anche se è esattamente quello adatto alla conclusione del romanzo, l’unico che poteva far terminare questa storia, romanzo filosofico e d’azione.

La bella e la bestia

Non è una fiaba, però, e la bella è bella non solo nella sua forma esteriore, ma soprattutto nella sua razionalità (che è pure la sua fragilità) di madre di un algoritmo elusivo che le avrebbe permesso di eludere i paradossi; e la bestia è una bestia che di bestia ha poco, ma ha l’aspetto di un uomo molto poco elegante e burbero («sulla bella intellettuale l’omone aveva fatto una vivissima impressione di primitivo civilizzato, o meglio di animale inoffensivo con il dono della parola, ma con poca sintassi cerebrale e una sconfinata dotazione di irrazionalità, dote quest’ultima, rara in un uomo», p. 99).

Gli opposti

Ruth e Christopher hanno nomi che non sono messi a caso e hanno un significato ben preciso in una storia che è un puzzle di personaggi e cause, un incastro preciso, una pasta modellata a proprio piacimento dallo scrittore.

Ruth e Christopher si incontrano perché necessari, nella loro diversità (lei mente, lui braccio), a un boss, un narcotrafficante colombiano che vuole inseguire un capriccio, un capriccio figlio di un mistero nato dal ritrovamento di una vecchia mappa del tesoro, apparentemente indecifrabile, per giustificare, con quel tesoro, la ricchezza accumulata dalla sua attività e risolvere così i suoi problemi con le autorità statunitensi.

Christopher è l’unico che Ruth tolleri (Pablo, incontrato mentre era intenta a scoprire la sua vera identità a Cuba, non è stato che è una comparsa), Ruth che, riscopertasi Marisol, si rende conto di avere sempre meno pazienza, di non sopportare neanche più la compagnia di sé stessa, delle sue infinite elucubrazioni, dei fallimenti della sua mente sempre attiva, che si è arrestata su un paradosso, dopo averne smascherati tanti altri con un suo progetto geniale, ed è piombata nello sconforto totale.

Ruth è «una giovane donna che esige troppo da sé stessa», come le dice il padre la sera che tenta di consolarla e le confessa, però, la sua vera identità di figlia adottiva, che Ruth non è il suo nome e che il suo vero nome «Marisol (Mare-sole) è simbolo del trionfo della radiosità della luce e del logos, il sole, sulle tenebrose profondità dell’inconscio, il mare» (p. 188).

Anche la storia, come Marisol è un incastro che gioca sul trionfo delle parole (si veda pure la doppia v del titolo che vuole rimarcare, come precisa l’autore in una nota, «la posizione di superiorità che nel romanzo la trascendenza viene infine ad acquisire sull’immanenza»), è il conseguimento di un processo di individuazione, è una serendipità dal sostrato filosofico, semplice e costruita con attenzione, in cui i due, così diversi, rispecchiano parti di noi stessi, distanti e complementari («Marisol taceva come sempre ma a modo suo lo ammirava per la sua animalesca cocciutaggine che aveva, dopo tutto, un che di scientifico, perché è così, a forza di tentativi, che si scopre o anche s’inventa qualcosa», p. 159), da riscoprire nella loro genuinità, senza maschere, in un momento in cui sperimentano «la vita gratuita, senza lotta» (p. 160).

Vita gratuita, senza lotta, su due isole: le Negrillos, isolette del mare dei Caraibi che dal 1867 in poi scompaiono inspiegabilmente da tutte le carte nautiche, che sono due punti minuscoli, sulla carta e nell’oceano: due punti. Due punti che precedono una spiegazione; la soluzione alle peripezie di una settimana astrale – decisa e architettata dagli dei – in cui nulla accade per caso e ci si riscopre nella libertà di essere ciò che si vuole, e di volere ciò che si è.

Guido Mina di Sospiro, Sottovento e sopravvento, Ponte alle Grazie, 2017, pp. 198