L’ingresso del Covid-19 sembra stia mettendo in atto una profonda riformulazione delle nostre vite e delle nostre pratiche quotidiane. Mai come adesso appare percepibile il costituirsi, in tempi drasticamente celeri e a livello planetario, una viva frattura che ci separa da un paradigma che sembra risultare di colpo appartenente al passato. I bollettini, le previsioni e le continue novità sul virus contribuiscono a rendere percepibile il profilarsi di questa netta discontinuità, alimentando l’immagine di una nostra vita che appare sempre più avvicinarsi a ciò che una certa produzione fantascientifica e distopica nel campo audiovisivo ma anche videoludico ha proposto. Un montaggio mentale che unisce L’esercito delle 12 scimmie a Blade Runner, The Walking Dead a Black Mirror, Inside a The Last of Us viene attivato nella nostra mente nella ricezione delle notizie quotidiane sul virus; quelle immagini distopiche, appartenenti alla finzione, riecheggiano in ciò che vediamo e sentiamo – spinti da una forma di pessimismo e catastrofismo alimentata da un’informazione incalzante e in alcuni casi terrorizzante – attivando un’insperata e indesiderata fusione e confusione tra un immaginario distopico e la vita reale.

Avviene così che se da un lato le problematiche del virus ci fanno piombare nella più dura realtà che il mondo occidentale abbia conosciuto dai tempi dell’ultimo dopoguerra, dall’altro lato questa dura realtà risulta avvolta da una dimensione immaginaria, finzionale, che accoglie quelle immagini apocalittiche e fantascientifiche che fino a un paio di mesi fa apparivano del tutto distanti e piacevolmente fruibili. Quello che Adorno e Horkheimer scrivevano già nel 1947 in Dialettica dell’illuminismo si verifica con più forza proprio in questa delicata fase, ovvero siamo sempre più orientati a «credere che il mondo di fuori non sia che il prolungamento di quello che si viene a conoscere al cinema» (1997, p. 133) e, possiamo aggiungere, nelle serie TV e nei videogames.

In questo momento in cui l’intera umanità è piegata dal Covid-19, le parole lungimiranti di Debord appaiono descrivere perfettamente un fenomeno che si dimostra sempre più ben distinto, ovvero che «il mondo reale si cambia in semplici immagini [e] le semplici immagini diventano degli esseri reali» (2004, p. 48), sebbene necessiti una sostituzione di semplici con distopiche, tragiche, sconvolgenti.

Ma non solo; questa commistione tra realtà e non-realtà si presenta anche in termini diversi: la dimensione del reale sembra accogliere, in maniera radicalmente più accentuata rispetto a prima, tutto ciò che rientra nella sfera non solo della finzione, dell’irreale ma anche del falso, dell’ingannevole.

Erroneamente alcuni studiosi hanno messo in luce come l’ingresso del Covid-19 abbia riportato alla dura realtà, facendo dissolvere all’improvviso le questioni inerenti alla scomparsa del reale, alla realtà sempre meno certa, alle fake news. Ma, per l’appunto, questa è una considerazione del tutto erronea. Quello che appare è infatti una dura realtà che ospita, in termini più radicali, le declinazioni non solo della finzione ma anche del falso, in un vortice di confusione e fusione del fattuale con realtà altre che sembra aver assunto dimensioni e forze del tutto nuove.

Analizzando ciò che è accaduto in questi mesi possiamo notare come si possa cogliere da un lato un rimando deciso ad un immaginario audiovisivo e videoludico che si iscrive nelle pieghe dei fenomeni di questa pandemia; ma dall’altro lato è evidente una continua presenza di fake news – l’uso dell’Avigan che preserva il Giappone –, di infondate deduzioni – l’animale domestico come vettore del virus –, di improvvisate e grottesche comunicazioni – l’uso di raggi ultravioletti e di iniezioni di candeggina –, di congetture che implodono – il rischio zero per l’Italia –, di sicurezze smentite – il vaccino disponibile prima dell’estate –, di mistificazioni del reale – la messa in discussione delle immagini di Bergamo –, di verità alternative – il Covid-19 portato a Wuhan dai militari americani –, di interpretazioni dei dati che si contrastano – le letture dei bollettini sui contagi che indicano per alcuni la bassa letalità del virus, per altri il contrario. E questo vortice di notizie, questa epidemia dell’informazione non sempre attendibile, racchiusa nel termine “infodemia”, genera a sua volta la fusione e confusione del reale con il falso, per una crescita esponenziale dell’incertezza.

Ora, in questa situazione attuale dove realtà e non-realtà (finzione e falso) si fondono e confondono, emerge sempre più chiaro quanto espresso da Kundera, ovvero che da Goethe in poi «il mondo comincia gradualmente a perdere la sua trasparenza, si oscura, è sempre più incomprensibile, precipita nell’ignoto» (2005, p. 90), e ciò perché dalla metà del Settecento il sapere specialistico comincia a imporsi. Questo comporta che l’uomo demanda a figure competenti la comprensione di certi fenomeni, perché impenetrabili risultano diverse realtà che lo attorniano; ma nello stesso tempo questo vuoto incomprensibile si sente di doverlo riempire con il proprio immaginario e le proprie deduzioni, questo buio palpabile lo si illumina mediante la proiezione delle proprie fantasie e del proprio sapere.

Certo, in relazione al crescere esponenziale del sapere specialistico si deve accettare che «il riscontro della validità delle ipotesi scientifiche non possa che essere mediato da esperti e debba quindi essere indiretto» (Dorato 2019, p. 41); ed è lo stesso Conte ad aver evidenziato nel discorso alla Camera del 30 aprile l’importanza di distinguere la doxa dall’episteme. E, certo, la scomparsa del reale divenuto favola, le interpretazioni sostituite dai fatti, l’immaginario assorbito dal reale, rientrano in un sistema di pensiero che nella vita pratica ha «conseguenze devastanti» (Ferraris 2017, p. 43), e favorisce lo sviluppo della postverità e del populismo.

Ma è anche vero che in questa fase abbiamo di fronte un panorama in cui le verità scientifiche si contrastano, in una successione di dati che si confutano, in un’accentuata e mai così percepibile dinamica di congetture e confutazioni popperiana, che a un osservatore esterno lascia un senso di incertezza e spaesamento. E questo favorisce l’idea di un’assenza di verità scientifiche, induce alla creazione e ricerca di verità alternative e alimenta l’imporsi di quell’immaginario nutrito da opere distopiche.

Morin osserva che le scienze nel XX secolo, che ci hanno fatto acquisire molte certezze, hanno anche rivelato «innumerevoli campi d’incertezza» (2001, p. 13) ed evidenzia, dall’altro lato, che il reale e l’irreale «sono l’uno nell’altro, uno costitutivo necessario dell’altro» (2009, p. 10).

Sta di fatto che l’incertezza diffusa ha necessità di trovare appigli; dobbiamo apprendere, come scrive ancora Morin, «a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza» (2001, p. 14), per non far accrescere la commistione tra realtà e non-realtà, le proiezioni dell’immaginario sul reale e la diffusione del falso nel fattuale. E quello di condurre la navigazione è un compito che spetta alla classe politica, che deve dimostrarsi capace di saper dare la giusta direzione e punti fermi e chiari, in dialogo con il mondo scientifico. Per evitare che, più che il sonno, i sogni della ragione generino mostri.

Bibliografia per approfondire

M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997

E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001

G. Debord, La società dello spettacolo, Massari Editore, Viterbo 2004

M. Kundera, L’immortalità, Adelphi, Milano 2005

E. Morin, Per Baudrillard, in J. Baudrillard, La scomparsa della realtà, Fausto Lupetti, Bologna 2009

M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, il Mulino, Bologna 2017

M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina, Milano 2019

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