Gli effetti del riscaldamento globale sono ormai molto evidenti, ma quando si discute di limitare le emissioni di gas serra l’opinione pubblica tende a dividersi. Secondo alcuni “non ci sarebbero prove scientifiche sufficienti per dimostrare che l’aumento delle temperature medie globali sia legato all’uso intensivo dei combustibili fossili”. Va da sé che se ciò fosse vero sarebbe del tutto inutile attuare una transizione verso le energie rinnovabili. Le posizioni negazioniste sono fortemente sostenute dai Paesi produttori di gas e petrolio e dalle multinazionali che traggono ingenti profitti dal commercio dei combustibili fossili. In realtà le prove che il riscaldamento globale sia dovuto alle emissioni generate dai combustibili fossili ci sono e nessun negazionista è mai riuscito a confutarle. La dimostrazione non è banale perché richiede un certo livello di competenze chimico-fisiche, ma – almeno in forma semplificata – può essere compresa anche dai non specialisti.
Partiamo dai dati relativi alla concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera. I valori relativi agli ultimi 800 mila anni mostrano un andamento oscillante, con minimi nei periodi più freddi delle ere glaciali e massimi nei periodi caldi interglaciali. Fino a un paio di secoli fa, anche nei periodi più caldi, la concentrazione di CO2 non aveva mai superato il livello di 300 ppm, ma con l’avvio della rivoluzione industriale si osserva una rapidissima crescita della CO2 atmosferica. Il livello attuale si attesta sopra le 400 ppm. Poiché la CO2 atmosferica provoca un forte effetto serra, un maggior livello di CO2 produce fatalmente un aumento delle temperature medie globali.
Fin qui possiamo affermare che c’è una coincidenza tra l’uso intensivo dei combustibili fossili e l’aumento della CO2 atmosferica, ma non possiamo affermare con certezza che i combustibili fossili siano stati la causa dominante di tale aumento.
Per approfondire la questione dobbiamo ricordare che gli atomi di carbonio esistono in natura sotto forma di 3 diversi isotopi: il carbonio di massa atomica 12 (12C), quello di massa 13 (13C) ed il carbonio 14 (14C). Il 14C (detto anche radiocarbonio) è un raro isotopo radioattivo che viene continuamente formato dall’interazione dei raggi cosmici con gli strati più esterni dell’atmosfera e decade con un tempo di dimezzamento pari a circa 5.730 anni.
Se analizziamo la composizione isotopica del carbonio presente nei vegetali troviamo valori lievemente diversi rispetto a quelli della CO2 atmosferica. L’origine di tale differenza dipende dal processo di sintesi clorofilliana che è più efficace quando ha a che fare con molecole di massa più piccola: una molecola di 12CO2 viene fissata più facilmente di una molecola di 13CO2. Ne consegue che le piante (ed anche i combustibili fossili che derivano da materiali di origine vegetale) hanno una composizione isotopica più povera di 13C rispetto alla CO2 atmosferica.
Dal punto di vista tecnico, il rapporto tra la concentrazione degli isotopi 13C e 12C è espresso tramite il parametro δ13C, che fornisce la differenza del rapporto 13C/12C rispetto ad un livello standard di riferimento ed è espresso in parti per mille. Un valore più basso del δ13C significa una presenza percentualmente minore dell’isotopo 13C.
Il valore δ13C della CO2 atmosferica era pari a circa -6,5 ‰ intorno al 1750, all’inizio della rivoluzione industriale. Successivamente tale valore ha iniziato a calare, scendendo più rapidamente dal 1950 in poi. Attualmente il valore del δ13C della CO2 atmosferica è pari a circa -8,5 ‰. In concomitanza con la crescita dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera c’è stata una riduzione (in percentuale) della frazione costituita da 13CO2. Questo ci permette di dire che la crescente presenza di CO2 è stata originata da sorgenti di origine vegetale e ci consente anche di escludere un qualche effetto legato alle emissioni di anidride carbonica proveniente dagli oceani la cui composizione isotopica è simile a quella dell’atmosfera.
Questo risultato restringe la lista dei ‘sospettati’, ma non dimostra che i responsabili dell’aumento di CO2 nell’atmosfera siano proprio i combustibili fossili. Per approfondire la nostra indagine dobbiamo fare un passo in più e considerare il terzo isotopo del carbonio, quel 14C radioattivo che è presente in piccole tracce (solo 1 ogni 1012 atomi di carbonio), ma è comunque essenziale per concludere il nostro ragionamento.
Anche per il 14C (analogamente a quanto abbiamo visto prima per il 13C) possiamo definire un indicatore, il cosiddetto Δ14C che esprime la differenza del rapporto 14C/12C rispetto ad un valore standard di riferimento. La differenza è espressa in parti per mille. Le piante contengono 14C che hanno assorbito dall’atmosfera, ma nel caso dei combustibili fossili il 14C è completamente assente perché il tempo di formazione di un combustibile fossile (tipicamente maggiore di 1 milione di anni) è molto più lungo rispetto al tempo di dimezzamento del 14C. Carbone, metano e petrolio sono stati originati dalla decomposizione di vegetali che inizialmente contenevano tracce di 14C, ma nel frattempo il radiocarbonio è completamente decaduto e non si trova più nei combustibili al momento dell’estrazione. Tecnicamente si dice che per i combustibili fossili Δ14C = -1.000 ‰.
Misurando il Δ14C della CO2 atmosferica si osserva che tale parametro è calato progressivamente dall’inizio dell’800 fino al 1950 circa. Nel decennio successivo, la raccolta dei dati è stata vanificata dall’enorme ricaduta di scorie radioattive prodotte dai test sulle armi nucleari realizzati nell’atmosfera. La 14CO2 di origine nucleare si è sovrapposta a quella prodotta naturalmente fino a raddoppiarne il livello.
Dal 1965 in poi – a seguito della moratoria sulle esplosioni nucleari all’aperto – c’è stato un rapido calo della presenza di 14CO2 nell’atmosfera con conseguente calo del parametro Δ14C. L’effetto è dovuto principalmente alla redistribuzione della 14CO2 di origine nucleare che è stata in gran parte assorbita dagli ecosistemi terrestri e marini. Tuttavia, la discesa è stata più rapida del previsto ed attualmente il Δ14C atmosferico è tornato più o meno sui livelli che aveva nel 1950, prima che le grandi potenze si sfidassero a colpi di esplosioni nucleari nell’atmosfera.
Un calo così significativo non si giustifica considerando solo l’assorbimento della 14CO2 prodotta dalle esplosioni nucleari da parte degli ecosistemi terrestri e marini. Si stima che tale processo avrebbe portato ad un valore attuale del Δ14C pari a circa 150‰, mentre il dato misurato è vicino allo 0‰. Possiamo spiegare questo risultato ipotizzando che l’aumento di CO2 verificato a livello atmosferico sia dovuto alle emissioni generate da combustibili fossili che – come spiegato precedentemente – non contengono 14C.
Riassumendo, dall’avvio della rivoluzione industriale fino ad oggi abbiamo registrato un crescente consumo di combustibili fossili che ha coinciso con un aumento del livello di anidride carbonica presente nell’atmosfera a cui è corrisposto un aumento delle temperature medie globali. Contemporaneamente abbiamo verificato una variazione della composizione isotopica della CO2 atmosferica, con una crescita percentuale della componente costituita da 12C ed un calo sia del 13C che del 14C (a parte la parentesi legata al cosiddetto “bomb spike” dovuto agli esperimenti nucleari realizzati nell’atmosfera).
L’aumento della CO2 atmosferica è stato provocato da una sorgente di anidride carbonica particolarmente intensa e povera sia di 13C che di 14C. Si tratta quindi di una sorgente costituita da prodotti di origine vegetale, abbastanza antica per aver ormai esaurito la presenza del radiocarbonio.
Possiamo quindi concludere che i principali responsabili del fenomeno del riscaldamento globale sono proprio i combustibili di origine fossile.