L’impossibilità di muoversi tra regioni a causa della pandemia di Covid-19 non impedisce di fare progetti sui prossimi viaggi. A coloro che, come me, prediligono le scoperte italiane propongo oggi un binomio inconsueto, a cavallo del confine tra Umbria e Marche: quello di Gubbio e dell’eremo di Fonte Avellana. La cittadina medievale e il monastero nella foresta costituiscono gli estremi di un itinerario breve ma molto gustoso, che corre dalla pianura alle montagne mettendo in connessione storia, arte, natura e spiritualità.

Partiamo da Gubbio, dove si sale con i passi e con gli sguardi. Senz’altro, adagiati ai suoi piedi, meritano una sosta la chiesa di s. Francesco e il teatro di epoca romana, ma la città chiama verso l’alto e viene naturale assecondarla incamminandosi per le vie in verticale. Scriverne è complicato perché si ha la certezza di raccontare cose già dette mille volte. Scontato è raccontarne la bellezza, banale sottolinearne l’eleganza, difficile descriverne dettagliati resoconti storici: meglio seguire le suggestioni che la città propone mano a mano, tra le vie lastricate punteggiate di torri, porte, case medievali fino alla piazza-terrazza sovrastata dall’inconfondibile Palazzo dei Consoli e da quello del Podestà. Qui ci passano tutti e tutti si fermano: lo facciamo anche noi, ammirando la distesa di tetti, comignoli e tegole rosse che si dispiega sotto il nostro sguardo fino alle colline al di là del torrente Saonda. Botteghe di artigianato, hotel, enoteche e gelaterie si alternano tra gli edifici storici: anche qui il turismo di massa sta lasciando segni importanti, che compromettono in parte la raffinatezza e l’autenticità del luogo.

Non ci lasciamo distrarre e continuiamo a camminare nel reticolo inclinato delle strade del centro, purtroppo in gran parte aperte anche al traffico veicolare. La città chiama ancora da sopra e ci invita a salire scarpinando fino alla sua parte più alta, dove svettano la cattedrale dei SS. Mariano e Giacomo e il Palazzo Ducale. La prima, di aspetto austero, risale al XII secolo e propone un’unica navata sormontata da splendidi arconi ogivali; il secondo, attribuito a Francesco di Giorgio Martini, fu commissionato nel XV secolo da Federico di Montefeltro duca di Urbino. Oltre all’omonimo museo, il palazzo ospita un delizioso giardino pensile, altro ameno punto di osservazione sopra la città.

La portata è appagante ma il menù della giornata ha in serbo altre sorprese, a partire dal Parco regionale del Monte Cucco e la strada che da sola vale tutto il viaggio. La SS 298 poi 360 si inerpica tra le montagne serpeggiando tra costoni di roccia imponenti, dirupi sul fiume, boschi di roverelle e curve ad angolo giro da far venire le vertigini. La potenza della natura è un piatto forte anche per le emozioni: il territorio è incontaminato ed evoca leggende di Templari, cammini pellegrini, presenze di lupi, scorribande di briganti. Nel Comune di Scheggia e Pascelupo si sfiora l’abbazia di S. Emiliano in Congiuntoli, purtroppo off limits e in stato di abbandono.Immagine 0L’abbazia di S. Emiliano in Congiuntoli, XIII secolo (foto di Valeria Canavesi)

Ripartiamo quindi alla volta di Isola Fossara: tra su e giù, sali e scendi imbocchiamo la provinciale diretta all’abbazia di S. Maria di Sitria e quindi all’eremo di Fonte Avellana, rilevante riferimento monastico e politico di tutta la zona a partire dal XII secolo.Immagine 1L’eremo di Fonte Avellana, cortile di accesso (foto di Valeria Canavesi)

Frassini e cerri avvolgono la strada salendo a tunnel sopra le nostre teste; nel paesaggio boscoso non un’antenna, non una casa, zero segnale anche sul cellulare: che meraviglia. E che meraviglia il monastero, eretto a partire dal 970 su un versante del monte Catria e cantato perfino da Dante nella Divina Commedia. La chiesa, il cenobio e i vari corpi di fabbrica, conservati in modo ineccepibile dai monaci camaldolesi, sono recentemente tornati oggetto di una meritata riscoperta e di una densa attività spirituale, aperta a tutti. Ecco però la ciliegina sulla torta di questa giornata speciale, il tasso monumentale nei pressi del convento: un gigante della foresta, con un tronco largo 5 metri, che pare abbia più di 500 anni. Con lo sguardo perso tra i suoi rami protesi ora possiamo dirlo, prima di tornare a casa: siamo davvero satolli.

Immagine di copertina: Il Palazzo Ducale di Gubbio tra i tetti (foto di Valeria Canavesi)

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