La vita davanti a sé inizia con la descrizione di Madame Rosa, vecchia e grassa ebrea che ogni giorno sale i sei piani di scale senza ascensore del palazzo dove abita a Belleville, XX arrondissement di Parigi. Gli occhi che la seguono quando arranca scalino per scalino sono quelli scuri di Mohamed detto Momo, ragazzino arabo tenuto a pensione – come altri 'fils de pute' – dalla donna che si mette una parrucca rossa, si circonda di fiori e 'ha chiappe e seni più di chiunque altro'.

Madame Rosa non è priva di pregiudizi: gli arabi gli dài una mano e si prendono tutto il braccio. Diventeranno delinquenti minorili – non ancora terroristi – e così via. Ma Momo sa che gli vuole bene e sono solo luoghi comuni. Prima di avere 'fatto la vita' la donna è stata in un campo di concentramento. Ogni tanto i ricordi riaffiorano sotto forma di incubi e la donna si rifugia in cantina dove si è creata una sorta di nascondiglio.
Il quartiere multietnico di Belleville fa da sfondo a una storia di creature sole e sdradicate dove l'animo romantico di Romain Gary – un certo suo nobile idealismo slavo – si fonde con altre tipiche note, come il sarcasmo nichilista; e la vita di un ragazzino con quella di una donna arrivata alla fine. Una coppia improbabile quanto struggente che resta sola contro il mondo ed è il nucleo narrativo di un libro di culto, edito in Italia da Neri Pozza e da poco diventato un audiolibro della Emons. Marco D'Amore dà la voce a Momo che racconta la storia della sua vita con Madame Rosa.
Ma oltre al libro – e al film premio Oscar che ne è stato tratto – La vie devant soi è anche una pazzesca vicenda umana che spinge l'autore e puntare la pistola contro di sé nel 1980. Bisogna tornare al tempo degli zar e poi sulla Costa Azzurra per capire, o almeno provare a capire.
Anche Romain Gary è stato uno 'straniero', con natali incerti e il solo appoggio della madre di fronte a un mondo sconosciuto. Emigrato a 13 anni con la madre a Nizza, dopo avere vissuto a Vilnius - allora Impero russo -, e Varsavia allo scoppio della rivoluzione, diventa un vero francese grazie alla Resistenza. Il suo nome è Roman Kacew e viene registrato all'anagrafe francese come 'ebreo' ma tutti lo vedono come un immigrato russo con la faccia da arabo e la carnagione scura imbrunita dal sole del Mediterraneo.
La madre di Romain manda avanti una pensione vicino alla promenade des Anglais ed è una tipica 'yiddishe mame'. Esigente e protettiva, adorante e dispotica col figlio, era conosciuta nei teatri zaristi con il nome di Nina Borizovkaja. Ufficialmente il padre di Romain Gary è il secondo marito dell'attrice ma ci sono voci che ne attribuiscono la paternità a una star del muto, Ivan Mosjoukine, anche lui emigrato in Francia – apparteneva a una famiglia russa molto agiata –, dove la sua carriera culmina in una memorabile interpretazione del Fu Mattia Pascal per poi spegnersi nella miseria e nella solitudine di una stanza piena di lettere di ammiratrici, quando il muto tramonta e il suo accento slavo lo rende inadatto alle nuove produzioni.
Romain Gary, con quella faccia 'meticcia' ardente e sensuale, gli somiglia maledettamente e una serie di regali 'piovuti dal cielo' – come una bicicletta arancione – aumentano i sospetti che tra di loro ci sia qualcosa di più di una semplice affinità di tratti. Quando, nel '39, Ivan Mosjoukine muore, e Madame Kacew non ha più molto tempo davanti a sé, Romain Gary è aviatore dell'esercito di liberazione comandato da De Gaulle, destinato a rischiare la vita nel 'posto del morto', la cabina di pexiglass del navigatore sui bombardieri che decollano in Inghilterra per combattere i tedeschi e spesso non tornano. 
Abbiamo tirato in ballo Pirandello e non un altro autore interpretato da Ivan Mosjoukine perché la vita di Romain Gary va a sbattere in un tremendo e incredibile gioco di specchi, identità e mistificazioni proprio quando esce La vita davanti a sé, questa vicenda di giovani arabi e vecchi ebrei a Belleville. Gli dèi si divertono a prenderci in giro, diceva Gary... Negli anni '70 ormai la gloria militare, le medaglie appuntate sul petto da De Gaulle e il premio Goncourt per Le radici del cielo – primo romanzo ecologista – sono un ricordo lontano. Gary è uno scrittore 'démodé' in odore di gollismo nella capitale della contestazione ed è rimasto solo dopo la separazione dalla moglie, l'attrice Jean Seberg, la musa della nouvelle-vague conosciuta a Hollywood quando lo scrittore era console francese a Los Angeles, l'inquieta interprete di A bout de souffle e Bonjour tristesse.
Per scrollarsi di dosso un passato ingombrante e rinfrescare lo stile, Gary decide di assumere lo pseudonimo di Émile Ajar e di scrivere con quel nome custodendo gelosamente il secreto e facendo precedere la pubblicazione da trattative degne di un film di spionaggio. La vicenda è raccontata, con foto e filmati dell'epoca, ma anche la voce di testimoni ancora vivi, in un bellissimo documentario, La double vie de Romain Gary, integralmente visibile su Youtube.
Dopo avere cambiato paesi, lingue e città – Russia, Polonia e infine Francia –, vuole assumere una nuova maschera: quella di uno scrittore giovane e sconosciuto, selvaggio e appartato. Tentare un ennesimo colpo. Nessuno si accorge che gli pseudonimi Gary e Ajar sono filologicamente fratelli in quanto vengono da due termini russi che hanno a che vedere col bruciare, con l'essere ardenti.
L'innocua mistificazione letteraria scappa di mano all'autore. Nel 1975 il libro vince il premio Goncourt – riconoscimento che non si può vincere due volte –, vende milioni di copie e diventa il film dove il ruolo della vecchia e grassa ex prostituta viene interpretato da Simone Signoret. La pellicola vince il premio Oscar come miglior film straniero, dicevo. Gary non si scopre, regge la parte e si ficca in un vicolo cieco. A interpretare il ruolo di Ajar per la stampa manda il nipote, Paul Pavlowitch, che se la cava bene. Fin troppo bene. I due si dividono i compensi, 60 e 40 per cento ciascuno. Pavlowitch diventa sempre più esoso e celebre, e la stampa non risparmia un impietoso confronto con lo zio sessantenne: l'astro nascente e quello che non brilla più come un tempo.
Gary, come prima e più di prima scrive compulsivamente. Firma libri come Gary e in segreto come Ajar. Rilancia la posta di una commedia degli equivoci editoriali che diventa tragedia. Nel culmine del lesionistico gioco di specchi, viene accusato da un giornale di 'ajarismi', di avere usato cioè espressioni e stilemi che appartengono al nipote. Di avere insomma plagiato sé stesso come possiamo dire oggi ma allora nessuno sapeva che l'autore era uno solo.
Sconvolto da una beffa letteraria che ha preso dimensioni troppo grandi per uscirne indenne, terrorizzato dalla vecchiaia ('ho orrore della maturità', 'ho il cuore di un diciottenne in un corpo di un sessantenne'), l'autore del romanzo Biglietto scaduto è ormai diventato un uomo fragile. In realtà, dietro l'apparenza del duro, da pistolero messicano da film western – si veste con gilet etnici, si trucca –, è sempre stato un uomo più fragile di quanto sembrasse. Se la donna per lui è una 'patria', anche il suicidio di Jean Seberg, trovata morta su un'auto dopo avere ingerito dei barbiturici e bevuto molto alcol, lo manda ulteriormente verso il muro.
In una conferenza stampa, accusa la Cia di averla spinta alla pazzia e al suicidio pedinandola. Bionda e con un viso angelico prestato alla parte cinematografica di Jeanne d'Arc di Otto Preminger_,_ la Seberg si è sempre spesa per la causa dei neri americani. Tanto che Gary dirà che nell'appartamento di rue du Bac, oltre a loro due vivevano 'settanta milioni di neri'. Tutti i neri americani. Una convivenza difficile. Dopo la separazione, Gary riconoscerà il secondo figlio avuto dalla attrice, una bambina che muore subito dopo la nascita. Lo scrittore, sospettato di non essere il vero padre, sostiene di averla fatta seppellire in una bara col coperchio di vetro per dimostrare che la creatura non era figlia di un nero.
Solo quando anche lui si toglie la vita sparandosi un colpo in bocca, il mondo viene a sapere che era lui il vero autore del romanzo premiato dal Goncourt, e Pavlowitch non era che una sua pedina sfuggita di mano.
Nel finale del romanzo, Momo, il ragazzino arabo, resta accanto al cadavere di Madame Rosa, coprendola di profumo, nello scantinato segreto, per rubare alla dura realtà della vita ancora qualche giorno di un legame finito troppo presto con l'unica figura di riferimento, con l'unica persona che gli abbia voluto bene. Capace di pagine molto dure, per esempio quando fa compiere un attentato a un ragazzino polacco, durante la Resistenza, mentre pattina con i soldati tedeschi, nel romanzo Educazione europea, Gary lascia aperta la porta alla vita che continua per il piccolo arabo. C'è la vita che finisce, oltre a quella che continua, ma nel racconto, diversamente che nella realtà, si può mandare avanti e indietro il nastro, come nella macchina per il montaggio dei film che Momo scopre quando lo fanno uscire dallo scantinato dove si è nascosto con il cadavere di Madame Rosa e lo affidano a una famiglia... Avanti e indietro come si fa con i libri e la memoria. Soprattutto indietro.

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