Intervista a Carmela Remigio

Bellini è nel suo cuore. Per lui Carmela Remigio ha interpretato Adalgisa nella Norma, in scena al Teatro Regio di Parma fino allo scorso 27 marzo con Angela Meade nel ruolo del titolo_, Stefan Pop_ è Pollione, Michele Pertusi è Oroveso, sul podio Sesto Quatrini. Fra i maggiori soprani della sua generazione, premiatissima, Remigio ha una capacità tutta sua di rendere unico ogni personaggio che incontra. Una voce intensa e ricca di sfumature abbinata a una ricerca musicale continua fa di lei un’artista complessa e sensibile; nel 2016, è stata insignita del Premio Franco Abbiati della critica musicale italiana_. Dall’esordio, all’inizio degli anni Novanta, il soprano ha scritto tante pagine nella storia della lirica internazionale, fra cui cinquecento recite di_ Don Giovanni.

Maestra, cosa le ha dato Mozart?

Tutto, la vita, la passione per questo lavoro; ogni volta che ripasso un suo ruolo scopro qualcosa di nuovo; libera la fantasia, la psicologia così varia delle sue donne fatta di pause e musica mi stimola. Qualche anno fa ho scoperto con sorpresa che nel mondo della lirica mi chiamano “Madame Mozart”, questo mi dà immenso piacere. Ritengo Mozart e Bach fra i maggiori geni musicali; Mozart è un grande comunicatore.

E Bellini?

Come per Mozart immagino le sue donne allo specchio, che si confrontano, si contrastano come accade con Susanna e Contessa, Norma e Adalgisa. Ho sempre immaginato le opere di Bellini come acquarelli, il suo linguaggio non è definito o spigoloso come quello donizettiano. Norma e Adalgisa sono due donne identiche ma raccontate in fasi diverse della vita. Bellini riflette sul passare del tempo, sulle differenti offerte che la vita dà a ogni età, sui sentimenti che si provano in momenti diversi come la giovinezza e la mezza età. Il libretto di Felice Romani non è profondo come quelli scritti da Lorenzo Da Ponte per Mozart, ma Bellini crea una psicologia musicale che incoraggia la voce, il fraseggio a una ricerca senza fine.

Come si è avvicinata alla lirica?

A cinque anni i miei mi hanno regalato un violino piccolo fatto su misura. Mio fratello maggiore già suonava, mamma era convinta che anch’io dovessi conoscere la musica. Sono nata a Pescara, fino a diciotto anni ho studiato nel Conservatorio della mia città, a quindici ho capito che la musica sarebbe diventata la mia vita; il mio insegnante di violino, Franco Mezzena, mi suggerì di ascoltare con attenzione l’opera per apprendere il fraseggio e approfondire lo studio del violino. Ho iniziato a studiare canto come fosse un nuovo hobby, approfondire la tecnica vocale si è rivelato importantissimo, mi sono accorta che desideravo il teatro. A diciannove anni ho interpretato Alice nell’opera omonima di Giampaolo Testoni, al Teatro Massimo di Palermo.

Come ha costruito la sua voce?

Ho studiato con Nicoletta Panni e per un paio d’anni ho cantato solo Mozart, ma sentivo il bisogno di incontrare altri autori e sono andata da Aldo Protti, grande verdiano. Mozart ti costringe a uno stile rigoroso, nei suoni, nella vocalità: tutti dovrebbero affrontarlo, io sono arrivata a Verdi con la tecnica mozartiana.

Ricorda il primo ruolo verdiano?

Alice in Falstaff, diretta da Claudio Abbado. Durante una prova il Maestro mi disse. «Verdi si dovrebbe cantare con lo stesso rigore di Mozart», mi sono sentita rincuorata. L’approccio è uguale, devi essere onesta, non possiamo dimenticare i segni che il compositore ha scritto sulla partitura.

Ha studiato anche con Leone Magiera

È stato fondamentale, mi ha aiutato a scolpire quello che ora sono, ad andare oltre le note, la voce, per cercare una mia identità in ogni personaggio.

La sua carriera è particolare e coraggiosa.  La sua ricerca non si ferma mai?

Quando preparo un nuovo titolo mi tuffo completamente come fossi una studentessa. Recentemente al Teatro Donizetti di Bergamo ho interpretato Medea in Corinto di Giovanni Simone Mayr, maestro di Donizetti; l’opera è stata scritta per Isabella Colbran, il soprano che diventerà musa di Rossini, sono tanti tasselli che mi hanno permesso di costruire il personaggio. Nel nostro mondo è importante rinnovarsi. Mi dico spesso: «ciò che hai fatto è fatto». La prima volta che ho interpretato Maria Stuarda di Donizetti ho scelto di rimanere fedele a ciò che il compositore aveva scritto, molte colleghe lo cantavano come fosse un’opera verista. Temevo di essere fischiata, ho tolto i sovracuti e altri ghirigori che si erano aggiunti gradualmente per esaltare la prima donna ma non l’autore. So di essere al servizio della musica, al teatro dono la mia creatività, la mia formazione, la mia tecnica.

Se dovesse raccontarsi in poche parole?

Curiosa e sensibile, capace di mettere a frutto ogni mio vissuto. Sono sposata da vent’anni con un medico (Antonio Di Sabatino, professore ordinario di medicina interna al Policlinico San Matteo di Pavia, nda), un uomo introspettivo e aperto al mondo, se sono diventata così è anche grazie anche a lui. Un medico è come un artista, sensibile, con uno sguardo profondo su ogni paziente che incontra.

Immagine: Carmela Remigio. Crediti: Mirco Panaccio

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