Trentacinquemila? Quarantamila? Tanti, comunque, stretti come sardine nella loro scatola di Capannelle, a Roma, ma capaci di trovare spazio per ballare per 3 ore e mezzo di concerto in una serata indimenticabile. Certamente indimenticabile è stata anche la disastrosa macchina organizzativa: l'irrazionale regolazione del flusso di entrata, il caos per tornare con navette (peraltro già prenotate da chi veniva da fuori città), le lunghissime attese per un bus notturno, le indicazioni sbagliate dei vigili urbani. Roma è una capitale europea solo sulla carta e spiegarlo ai ragazzi stranieri o ai tanti italiani di altre città è sempre davvero penoso per un romano: e dire che si volevano organizzare le Olimpiadi! Velleità di amministratori a cui sarebbe pericoloso affidare anche un condominio. Speriamo si tratti di un'eredità sgradevole e che la nuova amministrazione sia all'altezza di porre rimedio all'incompetenza accumulata negli ultimi anni.

È valsa comunque la pena di sottoporsi alla sperimentata inconcludenza e incapacità di gestire grandi eventi, perché, per fortuna, la serata/notte dell'11 luglio a Capannelle è stata memorabile per il concerto di Bruce Springsteen e della E Street Band. I concerti del boss sono sempre trascinanti per alcuni speciali motivi: non si è mai assistito a una performance di Springsteen che sia durata meno di 3 ore: a 63 anni, quasi 64 ormai (li compirà a settembre), non si è risparmiato neanche questa volta tanto che spesso non c'è soluzione di continuità tra un pezzo e l'altro, concesso in alcuni momenti di riorganizzazione della band per far entrare nuovi strumentisti quando la già nutrita pattuglia della E Street Band non sia sufficiente per eseguire un pezzo. Il rapporto con il suo pubblico è diretto. Le chiamate sul palco sono parte di una relazione speciale: l'altra sera un ragazzino che teneva in mano un cartello con su scritto “I love Bruce” con una rosa infilata in mezzo ha vissuto un momento che probabilmente gli rimarrà impresso per la vita, cantando un pezzo di “Waiting on a sunny day”; così sarà stato per le ragazze che hanno ballato con il boss e per quella coppia della quale Springsteen è divenuto quasi il celebrante del loro matrimonio. Il contatto diventa a tratti fusione con il suo pubblico, cercato fisicamente, trovato e ricambiato.

Sul palco dal 1973, accorrono ai suoi concerti generazioni diverse, famiglie intere, sicure di ricevere emozioni non sempre facili da raccontare. Ognuno ha i suoi pezzi preferiti, molti cantano a memoria le sue canzoni quasi incuranti di quanto sia così poco diffusa la conoscenza di un buon inglese nel nostro Paese. Quelle preferenze diventano una richiesta esplicitata attraverso cartelli, o addirittura striscioni, che recano i titoli dei pezzi desiderati. A costo di sconvolgere la scaletta preventivata può succedere, come è avvenuto la sera dell'11 luglio, che i pezzi eseguiti in base alle richieste del pubblico diventino un numero quasi pari a quello che la band esegue senza indicazioni. Sarà stato probabilmente sulla scorta di alcune richieste che sono stati eseguiti pezzi, come “New York City Serenade” che la band in genere non esegue mai dal vivo. Del vasto repertorio possibile, Bruce Springsteen ha scelto un registro decisamente rock, sia per i pezzi scelti, sia per la loro esecuzione ed è andato a ritroso nel tempo proponendo molte canzoni dei primi 4 album. Dopo aver aperto con “Spirit of the night”, presente nel suo primo lavoro (“Greetings from Asbury Park”), ha poi offerto vari pezzi del suo secondo album (“The Wild, the Innocent and the E Street Shuffle), passando per motivi presenti in “Darkness of the edge of town”, come “Badlands” e “Candy's room”. Molti dei lavori degli anni Settanta-Ottanta, che hanno segnato la crescita e il consolidamento della band sono stati riproposti. Così si è arrivati a un quartetto di pezzi mozzafiato eseguiti in sequenza: “Born in U.S.A.”, “Born to run”, “Dancing in the dark”, “Tenth Avenue freeze-out” (www.youtube.com/watch?v=KCcNuE0Pjx8&feature=youtu.be). Hanno trovato posto in quella scaletta “mista”, tra gli altri pezzi, la struggente “Bobby Jean”, le cover dei classici “Summertime blues”, (nel filmato segue, in sequenza “Stand on it”) e “Twist and shout”, qualche accenno folk tratto dall'album-tributo a Pete Seeger, una tiratissima “Lucky Town”, la bellissima e “crescente” “The rising”, e un solo pezzo, da brivido, con la chitarra acustica, una “Thunder road” per la chiusura di una nottata memorabile. La Band, ormai rodata, con una sezione di fiati di cinque elementi, due coristi, due chitarristi come Niels Lofgren e Little Steven, oltre agli altri strumentisti, ha una gamma di possibilità infinite nell'interpretazione dei pezzi. La band si presentava senza Clarence Clemons, il gigante nero del sassofono, da poco scomparso e ricordato con una lunga serie di foto e filmati alla fine del concerto, mentre scorrevano le ultime note. Il nipote Jake lo ha sostituito ed è apparso già molto solido e sicuro. Ha stupito l'ulteriore salto di qualità musicale di Springsteen che raramente ha delegato gli assoli di chitarra agli altri due chitarristi mostrando una qualità di solista non sempre messa in evidenza. La crescita musicale è sembrata comunque complessiva e resa evidente dalla costruzione sempre più “piena” dei pezzi, a cui partecipa ormai una band di una dozzina di persone. L'esperienza accumulata negli anni si aggiunge, senza sostituirla, a quella tipica energia, ancora intatta, che Springsteen non solo mostra sul palco, ma che riesce a trasmettere con semplicità a chi lo va a incontrare ai suoi concerti.

Bruce Springsteen canta le debolezze di quel sogno americano infranto dalle ottuse scelte militari, dalle condizioni di vita del sottoproletariato, da gente che precipita nella miseria, ma mostra anche il volto dell'America solidale, fatta di buoni e profondi sentimenti, attenta a non sprofondare nell'individualismo; propone storie di amori struggenti come l'irrefrenabile voglia di rock'n'roll; ha spronato i suoi connazionali, dopo l'11 settembre, a rialzarsi con dignità e a risorgere per dare anche a chi non è statunitense, un messaggio vitale. Il boss ha la capacità di rappresentare un mondo di persone piene di passioni, che tengono insieme la voglia di ballare, di provare sentimenti, senza dimenticare di essere parte cosciente e critica del mondo in cui vivono. Per questo il concerto del boss è come un appuntamento in cui si ritrova un vecchio amico, un compagno di strada.