1912-2012: un anniversario non proprio da festeggiare per la paleontologia. Sì, perché quest’anno ricorre il centenario di una delle truffe più eclatanti della scienza, quella dell’uomo di Piltdown. Una storia che ha dell’incredibile, e che ancora oggi fa parlare di sé.

Tutto ha inizio il 18 dicembre 1912. Siamo in Inghilterra. Durante una riunione della prestigiosa Geological Society of London, la più antica società di geologia del mondo, viene presentata una scoperta che ha tutta l’aria di essere rivoluzionaria. Charles Dawson, avvocato con il pallino dell’archeologia, mostra alcuni fossili che potrebbero appartenere a una nuova specie di Ominidi. Ma non una specie qualunque: quella “mancante”, quella che tutti i paleontologi stavano cercando come prova definitiva della teoria dell’evoluzione. L’anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia.
E all’orgoglio nazionalistico britannico di inizio ‘900 non pare vero che i nostri più vicini antenati abbiano vissuto proprio in territorio anglosassone: per la precisione nell’East Sussex, nella zona di Piltdown. Così Dawson viene subito celebrato come un eroe, e la nuova specie chiamata in suo onore Eoanthropus dawsoni.
Pochi giorni dopo la scoperta appare su tutti i giornali. Il New York Times dichiara in prima pagina che “la teoria di Darwin è dimostrata”, il Guardian rincara titolando “Una delle più importanti scoperte preistoriche dei nostri tempi è stata fatta nel Sussex”. La notizia fa il giro del mondo.
Arthur Smith Woodward, custode del reparto geologico del British Museum di Londra, funge da trampolino di lancio per il successo di Dawson. Dopo averlo accompagnato al sito archeologico del Sussex, fa una ricostruzione dei frammenti trovati: l’uomo di Piltdown è proprio la congiunzione tra le scimmie e l’uomo moderno, dichiara, perché è formato da un cranio simile al nostro e da una mandibola uguale a quella di un giovane scimpanzé.
Il periodo? 500.000 anni fa, stimati confrontando i resti di animali trovati insieme all’Eoanthropus dawsoni con quelli esposti al Museo di storia naturale. E qui qualcuno comincia a storcere il naso. Com’è possibile che la mandibola di una scimmia del Pleistocene sia praticamente indistinguibile da quella di una scimmia attuale? Se lo chiedono alcuni studiosi, tra cui il professore di anatomia britannico David Waterson, il paleontologo francese Marcellin Boule e lo zoologo americano Gerrit Smith Miller. Tutti e tre avanzano l’ipotesi che i “pezzi” di uomo di Piltdown appartengano in realtà a specie diverse.
È così che l’accusa di truffa comincia a farsi avanti; ma nonostante alcune riviste come Nature pubblichino le ipotesi degli oppositori di Dawson, la teoria dell’anello mancante continua a essere sostenuta dalla maggioranza degli esperti.
Fino al 1953. Quarantun anni per smascherare un’enorme, clamorosa truffa: non solo le teorie sull’uomo di Piltdown erano errate, ma i reperti erano completamente falsi. Applicando la tecnica di datazione al radiocarbonio appena introdotta, viene fuori che la mascella dell'Eoanthropus non poteva risalire a più di 50.000 anni fa. La smentita ufficiale arriva dal Time, che nel novembre del ’53 pubblica le prove raccolte dai ricercatori Kenneth Page Oakley, Sir Wilfrid Edward Le Gros Clark e Joseph Weiner, secondo cui l'uomo di Piltdown era in realtà un reperto contraffatto, composto da tre specie distinte. In altre parole, l’anello di congiunzione era sì mezzo scimmia e mezzo uomo, ma letteralmente: un puzzle archeologico fatto da un cranio umano di epoca medievale, dalla mandibola di un orango che risaliva a 500 anni prima e da alcuni denti di scimpanzé. L'apparente età del reperto era stata ottenuta in modo artificiale, colorando i resti con una soluzione di ferro e acido cromico.
Ecco quindi come la comunità scientifica è stata beffata per anni. Da chi, ancora non è del tutto chiaro; tra i sospettati c’è ovviamente lo stesso Dawson, e poi il suo mentore Woodward, il filosofo e paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin, l’antropologo e paleontologo Arthur Keith. A infittire il mistero, c’è anche l’ipotesi del coinvolgimento niente meno che del padre di Sherlock Holmes, lo scrittore Arthur Conan Doyle.
Forse non sapremo mai la verità. Quel che è certo è che lo strano caso dell’uomo di Piltdown ha coinvolto moltissime persone, guadagnando un posto di riguardo nella storia delle bufale scientifiche. Non a caso, il primo soprannome di Charles Dawson è stato quello di “mago del Sussex”.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata