L’arte del tappeto tipica dell’Azerbaijan, dichiarata patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO, rivive a Roma nell’opera dell’artista Faig Ahmed. Ma in una chiave non tradizionale, sempre inedita e moderna. Distorti, in negativo oppure liquefatti, i tappeti del giovane artista ospitati al MACRO sembrano sfidare lo sguardo e il nostro modo di vedere il mondo. Una mostra, quella aperta fino al 29 marzo complesso ottocentesco dell’ex-Mattatoio, intitolata non a caso Points of perception.

Un lavoro, quello sul tappeto, che impegna l’artista ormai dal 2007 – anno in cui ha esposto alla Biennale di Venezia nel padiglione dell’Azerbaijan, paese dove è nato e opera. Un decennio di lavoro intenso, che ha portato Ahmed a concepire e realizzare una grande varietà di tappeti ora visibili a Roma, in cui domina l’idea della rottura con la forma tradizionale. Un trauma, questo, dovuto all’incontro/scontro con la modernità digitale, che irrompe nella forma-tappeto deformandola e stravolgendola.

Quasi si trattasse di errori o aborti, gli esperimenti di Ahmed con il tappeto non lasciano indifferente lo spettatore, e finiscono per interrogare – nei suoi significati più reconditi – quello che spesso, a torto, ci pare un oggetto solo banale e decorativo. Ma il tappeto è molto di più: giardino, immagine e prefigurazione del Paradiso, nonché indispensabile strumento di preghiera nella tradizione musulmana. Affiora così come costante anche la riflessione sulla tematica religiosa, riletta dall’artista alla luce del sufismo, la mistica islamica cui sembrano far riferimento molti dei lavori di Ahmed.

Fra le diverse opere presenti a Testaccio, anche alcune installazioni con al centro una riflessione sul tappeto, sul suo significato e uso. Fra queste è da segnalare Wave, opera realizzata appositamente per la mostra romana. Qui una struttura di metallo dà forma a una serie di tappeti da preghiera disposti come in una moschea, sollevandoli di alcuni metri da terra. Il risultato è un’onda, appunto, che allude ai movimenti compiuti dai fedeli musulmani nella preghiera. Notevole anche l’ultima opera esposta: Limits. Un lavoro che ricorda le sperimentazioni della body art, facendo riferimento anche alla circumambulazione della Mecca e all’immaginario del sacrificio tipico dell’Islam sciita.

La mostra – da non perdere – è stata curata da Claudio Libero Pisano ed è visitabile al MACRO insieme a una grande installazione dell’artista italo-iraniano Bizhan Bassiri. Promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dall’Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaijan in Italia, è stata realizzata in collaborazione con la galleria Montoro12 Contemporary Art di Roma, dove il giovane artista aveva esposto lo scorso anno.

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