Nelle vetrine dei negozi di giocattoli di Manhattan luccicano, accanto agli addobbi con Santa Claus, le nove braccia delle menorah per l’Hanukkah, la festa ebraica delle luci. Tradizionalmente celebrati dal 25 Kislev al 2 Tevet del calendario ebraico, gli otto giorni di festività cadono in un periodo particolarmente sentito dalla società americana e definito con il termine di Holiday Season. A partire dal Giorno del Ringraziamento (26 novembre) il calendario statunitense è infatti costellato di ricorrenze religiose e secolari che, almeno dal punto di vista simbolico, hanno assunto lo scopo di rappresentare lo spirito di coesione, tolleranza e convivenza all’interno della composita realtà americana. Le origini dell’Hanukkah, caduta quest’anno dal 6 al 14 dicembre, sono fatte risalire alla rivolta di Giuda Maccabeo (167 a.C.) il quale, dopo aver riconquistato Gerusalemme, riconsacrò il grande Tempio profanato dal sovrano seleucide Antioco IV Epifane. A commemorazione dell’evento che sancì una nuova libertà si accendono le luci dei candelabri dissipando le tenebre che cingono la stagione invernale; riuniti a tavola si consumano cibi tradizionali, come i sufganiyot, sorta di krapfen alla marmellata, e si cucinano preferibilmente pietanze fritte in allusione alla valenza miracolosa che l'olio ebbe nel racconto dell’istituzione di Hanukkah. Più recentemente lo scambio di regali, specialmente doni ai bambini, ha assunto una rilevanza sempre maggiore. Proprio quest’ultimo aspetto, che viene ad accomunare la dimensione familiare ma anche commerciale di Hanukkah con quella del Natale, ha determinato nell’ultimo secolo un incremento della popolarità di questa festa, grazie soprattutto all’influenza esercitata dalla comunità newyorkese, la seconda più popolosa al mondo dopo quella di Tel Aviv. Tra le mille sfaccettature attraverso le quali si possono rileggere storia e sviluppo di New York, la componente ebraica ha avuto un ruolo essenziale. Il grande flusso migratorio di fine Ottocento e della prima metà del Novecento condusse sulle sponde dell’Hudson una variegata folla di ebrei, in maggioranza askenaziti provenienti dall’Europa Orientale. Il primo luogo di insediamento in città interessò i quartieri popolari del Lower East Side: qui si creò una società fluida ma ancora legata alle tradizioni native, in bilico fra le dure condizioni di vita e le possibilità offerte dal nuovo mondo. Uno spaccato della vita quotidiana degli immigrati di allora rivive al Tenement Museum, situato in Orchad Street che con le sue botteghe e piccole imprese fu la spina dorsale di quel sovraffollato e frenetico microcosmo. Tuttavia sono le epopee familiari narrate ad esempio in Giobbe di J. Roth o ne La famiglia Karnowski di I.J. Singer a ripercorrere con profonda sensibilità psicologica la drammatica saga dell’emigrazione e dell’approdo in una nuova patria. Le vicende dei patriarchi Mendel Singer proiettato dal suo shtetl (tradizionale insediamento ebraico dell’Europa Orientale) verso Houston Av. ed Essex st. o di David Karnowski, in fuga dalle violenze naziste, descrivono, sul piano sia individuale che collettivo, il dissolvimento di un mondo antico e l’innesto di nuove radici fra speranze, sofferenze e il commovente attaccamento alle consuetudini ataviche. Oggi l’East Side ha perso il tessuto sociale che lo caratterizzava e solo una manciata di luoghi testimoniano la preponderante presenza ebraica del passato, come la vecchia sede delle tessiture Beckenstein, l’Yiddish Folks Theatre e soprattutto Katz’s, vera e propria icona gastronomica celebre per servire il più autentico dei pastrami newyorkesi. Le anime che composero l’universo ebraico di Manhattan contribuendo alla vibrante scena letteraria e culturale della metropoli si sono oggi trasferite in altri e meno esclusivi quartieri, in particolare South Brooklyn, Williamsburg e Bronx. Specie nei casi dei gruppi più conservatori si è qui seguito un modello di insediamento e aggregazione che si mostra compatto e che recentemente ha accolto l’ultimo flusso di ebrei provenienti dall’ex Unione Sovietica. Comunità di ferventi Chassidim, spazialmente localizzate così come accade a Borough Park, modellano la topografia di ampie aree della moderna metropoli riproducendo il sistema delle antiche corti rabbiniche e configurando il territorio con la loro distintiva presenza, fra negozi kosher, neri caftani e larghi colbacchi di pelliccia. La tensione interna fra ultra-ortodossi e riformatori, tra tradizione e modernità è una realtà del tutto attuale e trova piena trasposizione letteraria nei personaggi di Chaim Potok, uno dei massimi esponenti della cultura ebraico-americana, che in romanzi quali Il mio nome è Asher Lev o Danny l’eletto ha reso paradigmatici i dissidi fra le diverse generazioni di fedeli. Vivere New York come il cuore pulsante di un mondo globalizzato o come un grande shtetl è sempre una sfida aperta con cui si devono misurare sia il giovane osservante che una comunità abituata nella storia a preservare con cura meticolosa il proprio retaggio culturale.

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