4 aprile 2019

Victor Hugo, la pace e gli Stati Uniti d’Europa

Nell’agosto 1849, nella seduta di apertura della Conferenza internazionale sulla pace riunitasi a Parigi e da lui presieduta, Victor Hugo tenne un appassionato discorso in cui preconizzava il giorno in cui – a suo parere inevitabilmente – sarebbero nati gli «Stati Uniti d’Europa» e si sarebbe finalmente imposta la pace universale:

«Verrà un giorno in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens, fra Boston e Philadelphia. Verrà un giorno in cui la Francia, tu Russia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Germania, voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia».

Hugo, difensore del regime liberale, sostenitore dell’abolizione della pena di morte, sensibile ai problemi sociali, favorevole alla parità femminile e convinto che il suo compito di poeta e letterato coincidesse anche con una missione politica, era allora deputato dell’Assemblea costituente, ma solo due anni dopo sarebbe stato costretto a un lungo esilio (fino al 1870), in seguito al colpo di Stato del disprezzato Napoleone III. Tanto infatti era stato un estimatore di Bonaparte, che pure aveva immaginato per l’Europa «un unico codice, una Corte europea di Cassazione, le medesime leggi, la stessa moneta, le stesse misure», quanto uno strenuo oppositore della politica illiberale del nipote, «Napoléon le Petit».

In quella conferenza, in cui erano presenti belgi, italiani, americani, olandesi, inglesi, riuniti per discutere diversi punti (come tra l’altro la redazione di un codice dei rapporti internazionali, la necessità del progressivo disarmo, l’eliminazione delle cause sociali e politiche della guerra, i progressi dell’educazione e dell’istruzione), le sue parole furono accolte da ripetuti scrosci di applausi. Infatti, pur nelle differenze di vedute tra i diversi partecipanti sulle modalità di realizzazione di quel grandioso progetto, di cui avrebbero discusso nei giorni successivi (e anche in successive conferenze), l’idea del collegamento tra pace, nascita dei regimi parlamentari e democratici, principi di libertà e autodeterminazione dei popoli e internazionalismo era all’epoca ampiamente discussa. In Italia suoi convinti propugnatori furono Cattaneo, che aveva elaborato una teoria compiuta del federalismo sul modello elvetico e su quello americano sostenendo che il principio della nazionalità avrebbe dissolto «i fortuiti imperi [...] in federazioni di popoli liberi» e che si sarebbe avuta pace solo con «gli Stati Uniti d’Europa» (prefazione all’Archivio Triennale delle cose d’Italia, 1851), Mazzini, fondatore nel 1834 della Giovine Europa, che considerava come tappa successiva a quella degli Stati nazionali la formazione degli «Stati Uniti repubblicani d’Europa» e la creazione di un «Congresso internazionale permanente al di sopra di tutti gli Stati», e Garibaldi, che nel 1860 scrisse il Memorandum alle potenze d’Europa in cui auspicava anch’egli l’unificazione politica del continente. Battaglie simili per l’indipendenza intraprese in diversi Paesi d’Europa avevano fatto nascere l’idea di una comune civiltà che si sarebbe espressa in un nuovo ordine, realizzabile attraverso i principi democratici, e che non vi fosse contraddizione tra internazionalismo e idea di nazione.  

Hugo era così convinto dell’ineluttabilità di quel percorso che piantò nell’isola del suo esilio di Guernsey i semi di una quercia profetizzando che, quando fosse cresciuta, sarebbero esistiti gli Stati uniti d’Europa (e tale quercia esiste ancora); come noto, tuttavia, l’idea di nazione avrebbe intrapreso strade molto diverse e più complicate da quelle da lui e dagli altri ottimisticamente pronosticate, tanto da apparirci oggi il loro pensiero alquanto ingenuo, pur mantenendo intatta la sua forza ideale.

 

Crediti immagine: CC0 Public Domain (https://www.maxpixel.net/Victor-Hugo-Abandoned-Building-Tag-Hdr-1865848)