L’appuntamento con le Virtù virali di  Carlo Ossola è fissato per il giovedì e la domenica di ogni settimana, in ideale dialogo con il Trattato delle piccole virtù. Breviario di civiltà_, uscito presso Marsilio nel 2019._

«Riposata e dolce» (Leopardi), come dev’essere una pastiera o una gelatina de’ cotogni (Antonio de Sgobbis, Theatro farmaceutico, 1667); decantata da ogni impulso, emozione, fervore, la dolcezza si distende alba di promessa, trasparente aurora di letizia: «Dolce color d’orïental zaffiro» (Purg., I, 13).

Virtù che affiora da una memoria di vinte battaglie e di pacato compimento in «amore e maraviglia e dolce sguardo» (Par., XI, 77), essa è in certo senso adempimento appagato; serenità che s’illumina, lieta di desiderare quel che già ha ottenuto e che eternamente colma e invola: «“ma perché ’l sacro amore in che io veglio / con perpetüa vista e che m’asseta / di dolce disïar, s’adempia meglio, // la voce tua sicura, balda e lieta / suoni la volontà, suoni ’l disio, / a che la mia risposta è già decreta!”. // Io mi volsi a Beatrice, e quella udio / pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno / che fece crescer l’ali al voler mio» (Par., XV, 64- 72). Mai amore fu meglio espresso che in questo “arridere” che asseta e attinge alla fontana di ogni gaudio, al «dolce ber che mai non m’avria sazio» (Purg., XXXIII, 138).

Si è spesso osservato che la Divina Commedia è il teatro dei Novissimi, dell’irrevocabile che promana dall’eterno Giudizio; più in profondo essa è anche la memoria di quel che resta di questa visione ultima nel pellegrino: ed è dolcezza di plenitudine, «letizia che trascende ogni dolzore» (Par., XXX, 42). Frutto d’armonia, essa ci riconduce alla condizione prima, sognata, rimpianta, ripromessa, dell’umanità nell’Eden: «E una melodia dolce correva / per l’aere luminoso» (Purg., XXIX, 22-23); e poi si scioglie in «dolcissimo canto» (Par., XXVI, 67), che  lento vibra, eco del sempre: «così vid’ ïo la gloriosa rota / muoversi e render voce a voce in tempra / e in dolcezza ch’esser non pò nota // se non colà dove gioir s’insempra» (Par., X, 145-148), nell’«ultima dolcezza che la sazia» (Par., XX, 75).

Non molto possiamo fare, in queste monotone giornate della nostra impotenza e nelle altre che verranno; non molto possiamo dare, messi a prova dall’incerto avvenire che ci attende; meno ancora possiamo attendere da chi ci è vicino e sopporta la nostra presenza; ma nulla può togliere il conforto d’iniziar giornata attingendo al dolce suono delle ore di Dante, delle sue redente note, raccolte nel tin tin che ritma il silenzio e lo rende misura e pace del nostro quotidiano: «Indi, come orologio che ne chiami / ne l’ora che la sposa di Dio surge / a mattinar lo sposo perché l’ami, // […] / tin tin sonando con sì dolce nota, /che ’l ben disposto spirto d’amor turge» (Par., X, 139-144). Il dolce tin tin del viver familiare.

Le Virtù virali pubblicate su Atlante

11. Ironia

Immagine: Psiche sorprende il Cupido addormentato, di Louis-Jean-François Lagrenée. Crediti: pubblico dominio, attraverso it.m.wikipedia.org

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