Intervista a Lucamaleonte

Non sopporta le etichette, è avverso alle schizofrenie del presente, ed è fortemente sedotto da tutto quel che gli permette di sguinzagliare l’estro creativo. Con dirompente forza espressiva, Lucamaleonte ha affollato il circuito dell’arte pubblica con una serie di creature dall’immediata riconoscibilità. La sua arte è esplicita, così come una carta da parati che s’impossessa dello spazio per dar grinta a una facciata sbiadita e rinvigorire un muraglione spento con serpenti e pappagalli, lupi e piccioni, draghi e felini. Un bacino, quello della natura e degli organismi che la abitano, da cui l’artista dimostra di attingere con famelico interesse. Nato a Roma, trentasette anni fa, Lucamaleonte storce però il naso ogni qualvolta lo si annovera superficialmente tra i paladini della street art:

Ritengo sia una definizione un po’ vaga e decisamente vuota per raccontare una serie di fenomeni artistici, diversi sia per tecniche che tematiche. Oltretutto, va troppo di moda in questo momento. Spesso si parla di street art anche per parlare di opere museali o di mostre in gallerie d’arte, cosa che ritengo errata a priori. Per me la vera street art è quella che nasce in maniera spontanea, svincolata da commissioni istituzionali o compensi di sorta. Il termine che preferisco usare è “arte urbana”, perché descrive meglio quello che faccio in strada quando dipingo con una committenza ben definita. Immagine 0Foto per gentile concessione dell’artista

Un pretesto per evidenziare quanto la definizione sia fra le più abusate?

Esattamente. Penso sia troppo facile cavalcare mode che spesso non vengono approfondite per elemosinare approvazione dal pubblico generalista. Cerco di portare il mio percorso su una strada alternativa, rispetto alla comunicazione di massa.

Anche per te, tutto inizia nella strada

Il mio percorso inizia nei primi anni del Duemila, quando osservando i lavori a stencil di JBRock capii che sarebbe stato interessante utilizzare la sua tecnica per fare qualcosa di mio. Ho iniziato così a creare degli stencil su carta per fare degli sticker. Nel 2004, durante il primo Illegal Art Show alla stazione Metro Cipro, ho conosciuto altri artisti che avevano lo stesso mio approccio, fra i quali Pax e Laura Paloscia di Studio 14. E non mi sono più fermato.

Il passaggio dall’intervento non autorizzato a quello commissionato è un atto evolutivo?

È stato un atto non forzato, venuto abbastanza naturalmente per fortuna. Non ho mai avuto l’ardire di immaginare una carriera da artista, tant’è che mi sono formato come restauratore; fortunatamente, però, la vita mi ha dato questa possibilità. Poter realizzare opere commissionate è un grande onore e una responsabilità. Poter vivere grazie alle opere che realizzo, inoltre, è un gran privilegio.

Le tue opere emanano amore e rispetto per la natura e le sue creature

La passione per la natura c’è sempre stata. Negli ultimi anni, però, a fronte di una serie di studi intrapresi, ho capito quanto fosse importante cambiare punto di vista rispetto al sistema socioeconomico che l’Occidente sta abbracciando dal dopoguerra in poi. Credo nel potere curativo della natura, e lo racconto tramite i miei lavori. Mi piace creare una sorta di alfabeto simbolico legato alla natura: ogni pianta, ogni fiore, ogni animale assume così un secondo significato, che utilizzo per raccontare la mia visione. Questo mi aiuta molto anche perché le forme naturali sono facilmente riconoscibili in tutto il Mondo. Seppur disegnata in maniera schematica, una foglia è una foglia ovunque; e quindi riconoscibile. Questo mi permette di avere un primo livello di lettura universale anche se per comprendere meglio l’opera è necessario approfondire. Immagine 1Foto per gentile concessione dell’artista

Non manca l’impegno civile. Hai affrontato anche questioni dolenti

Non mi capita molto spesso di schierarmi sul fronte politico con la mia arte perché penso di non poter restituire un punto di vista interessante o originale rispetto alle tante opere politiche che vedo in giro. Preferisco fare quello che so fare meglio, ma ci sono alcune cose che vanno oltre la politica e sono in grado di raccontare la società meglio di altre. Per esempio, la vicenda di Willy – il ragazzo barbaramente ucciso in una rissa a Colleferro – è un simbolo dei tempi che stiamo vivendo. Poterla raccontare su un muro è stato molto importante per me. L’opera fa parte di una serie di ritratti che sto realizzando grazie all’AS Roma tramite Roma Cares, e ATER, che presto mi vedrà realizzare altri interventi in giro per Roma. Lavori di questo tipo si discostano molto dalla mia produzione abituale, mi permettono però di percorrere nuove strade e nuovi modi di raccontare la mia città.

Da sempre e per sempre, l’arte tenta di disinnescare le ingiustizie, di annientare l’appiattimento culturale

Questa dovrebbe essere la spinta degli artisti. Purtroppo, però – anche per colpa nostra, probabilmente – passa il messaggio che più le opere sono colorate e grandi e meglio è. Si mettono così sullo stesso piano opere d’arte di grande valore e disegni sui muri di poco conto. Questo influenza anche il giudizio del pubblico, che non si pone quasi mai in maniera critica rispetto a ciò che vede.

Spesso, però, questo genere di interventi stimola alla lotta attiva, anche politica

Capita spesso, è vero, ma io non so farlo. Non sono così informato e non ho un punto di vista originale al riguardo, quindi me ne tengo a distanza. Trovo che sia molto difficile fare opere politiche restando originali, senza scadere nel disegnare semplicemente una grande vignetta satirica, che poco ha a che fare con l’arte urbana.

Il compito dell’artista, in fondo, è quello di mettere qualcosa in risalto

La mia ossessione è quella di contestualizzare le mie opere nei luoghi dove le dipingo, penso sempre che ogni mio lavoro può funzionare solo ed esclusivamente nel luogo dove è dipinto, e spesso riesco in questo intento. Inserisco sempre degli elementi funzionali alla narrazione topografica, attingo al folklore locale e cerco di dialogare con gli spazi che ho intorno, è un esercizio impegnativo, ma ritengo che sia il modo giusto per me. Realizzare opere senza fare prima ricerche sui luoghi mi lascia sempre l’amaro in bocca.

L’arte oggi scorre on-line. E molti artisti desiderano fortemente diventare famosi sui social. Le tue opere hanno una potenza virale sovrastante. È il caso di Vecchio a chi?, il grande ritratto di Francesco Totti alzato fra i palazzi di Porta Metronia, a Roma

L’opera dedicata al Capitano è stata una mia esplicita richiesta alla galleria con la quale collaboravo all’epoca, e all’agenzia di comunicazione ed eventi che aveva i contatti per poterla fare. L’ho realizzata più che altro per me che per la viralità dell’operazione. Dopo averla ultimata, sono stato contattato da tanti giornali e radio romane, ma ho preferito non rispondere a nessuna intervista proprio perché non so gestire bene l’attenzione che mi viene rivolta. Sto imparando con il tempo, ma non è facile. Non amo molto essere un artista social, mi sforzo un po’ per fare anche questo tipo di comunicazione, perché è fondamentale per lavorare in questo momento. Non a caso, condivido on-line soltanto una parte della mia produzione rispetto a tutto quello che faccio.Immagine 2Foto per gentile concessione dell’artista

Guai a restare fermi. Sembra questo l’imperativo categorico della tua produzione. Possiamo dirlo?

Sì, anche se sarebbe bello ogni tanto fermarsi per rifiatare. In questo momento, però, ho talmente tante cose accavallate da non potermelo permettere. Sto portando avanti i ritratti sui muri con Roma Cares, nel frattempo sto lavorando a una mostra personale che dovrebbe inaugurare in primavera alla galleria Rosso27 di Roma. E poi ho tante altre cose che mi frullano in testa.

Cos’è per te l’arte?

Non lo so, forse è questo il bello. Non so se sono un artista o meno, ma dipingere è il motore che muove e influenza tutte le mie scelte di vita da vent’anni a questa parte.

Immagine di copertina: Foto per gentile concessione dell’artista

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#street art#Roma#arte urbana