Dopo una lunga attesa, ci siamo quasi. Il 13 febbraio, se tutto va bene, partirà finalmente dalla base spaziale di Kourou, in Guyana Francese, VEGA, il nuovo razzo europeo progettato e costruito quasi totalmente in Italia. VEGA (Vettore Europeo Generazione Avanzata) andrà a completare la famiglia di lanciatori utilizzati dalla Agenzia Spaziale Europea per i suoi lanci di satelliti artificiali. C'è già il peso massimo Ariane V e da qualche mese c'è anche il vettore russo Soyuz, per i carichi di dimensioni intermedie. Ma VEGA andrà a occupare la fascia Low cost, per così dire, del mercato spaziale. Servirà a lanciare i satelliti più piccoli, del peso fino a 1500 kg, mettendoli sulla cosiddetta Low Earth Orbit, dai 300 ai 1000 km di altitudine circa. Un settore per cui, sino ad ora, chi ha un satellite da lanciare deve rivolgersi ad americani, russi o indiani.
Il lancio di VEGA (tenendo, come è d'obbligo, tutte le dita incrociate) corona una storia davvero lunga, e in buona parte italiana. L'idea di un vettore leggero parte infatti dal nostro Paese, e dal lavoro pionieristico svolto da Luigi Broglio, “padre” delle attività spaziali italiane, fin dagli anni '80. Fu lui a suggerire di adattare e potenziari i vettori americani “Scout” per dotare l'Italia di un proprio sistema di lancio di satelliti. Attorno a quell'idea si misero al lavoro aziende italiane che avevano una grande tradizione nel settore degli esplosivi e dei motori aeronatuci. All'inizio degli anni Novanta il programma VEGA inizia ufficialmente come programma della (allora neonata) Agenzia Spaziale Italiana. L'impegno finanziario e organizzativo si rivela proibitivo per un singolo paese, e al tempo stesso anche altri paesi europei si accorgono di dipendere troppo da altri paesi per lanciare un certo tipo di satelliti. Nel 1998 VEGA diventa così un programma dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) anche se l'Italia rimane il primo finanziatore, italiane sono le aziende che sviluppano la varie sezioni del razzo così come le infrastrutture di terra, e italiani sono i reponsabili del settore lanciatori ESA che seguono il progetto.
E italiani sono anche buona parte dei passeggeri del primo lancio. Che è insolito rispetto alle consetudini spaziali, dove il primo volo di un nuovo lanciatore (inevitabilmente ad alto rischio) di solito porta in orbita solo “peso morto”. Invece il 13 febbraio Vega porterà in orbita ben 9 satelliti. Il più importante è LARES, un satellite dell'Agenzia Spaziale Italiana destinato a verificare e misurare una previsione fatta nientemeno che da Albert Einstein: il cosiddetto “frame dragging”, l'idea cioè che la rotazione e la gravità della Terra “trascinino” dietro di sé lo spazio tempo, distorcendone le proprietà. LARES è una piccola ma pesantissima sfera di tungsteno ricoperta di specchi. Su quegli specchi ,quando sarà in orbita, verranno puntati raggi laser emessi da stazioni a Terra, che misureranno poi il tempo necessario ai raggi riflessi per tornare indietro. In questo modo sarà possibile mappare con precisione assoluta la traiettoria del satellite e il modo in cui cambierà nel corso degli anni, arrivando (così spera il gruppo di ricercatori guidato da Ignazio Ciufolini dell'Università di Lecce) a misurare con precisione assoluta di quanto la rotazione terrestre modifica le proprietà dello spazio tempo.
Oltre a LARES ci sono otto minisatelliti costruiti da Università italiane e del resto d'Europa, per una serie di esperimenti che andranno dalla verifica di apparecchiature radio a sistemi di pannelli solari per generare energia in orbita. Nel loro insieme, questi satelliti sono un buon esempio di quelli che in futuro dovrebbero essere i passeggeri di Vega. Soprattutto satelliti per ricerca scientifica, e in particolare per osservazione della Terra (l'orbita raggiunta da VEGA è adatta soprattutto per questo tipo di studi), sviluppati da gruppi di ricerca più piccoli dei grandi consorzi internazionali guidati da ESA e NASA che di solito sono dietro alle grandi missioni scientifiche. Insomma, un vettore low cost che, nelle intenzioni, dovrebbe ampliare molto le possibilità di fare ricerca spaziale, finora territorio riservato alle grandi organizzazioni.