Stato dell’arte musicale, estate 2020. Contesto: si viene dal lockdown, il Coronavirus sembra l’incubo durato una stagione, qualcuno avverte: «vedrete che a settembre...», ma sono solo cattivi pensieri. E comunque, è andato tutto bene.

Si esce dal tunnel a passo di Jerusalema. La ballano gli infermieri e i ragazzini. Alessandra Amoroso e i Boomdabash conquistano il primo posto tra i tormentoni con un pezzo che dura il minimo sindacale, neanche tre minuti, metà dei quali scanditi da una specie di tosse canina. Il brano si chiama Karaoke. Spicca il verso: «Tu abbracciami forte per tutte le volte che non hai potuto ieri»

Stato dell’arte musicale, estate 2021. Contesto: si viene da qualcosa anche peggiore del lockdown. Apri, chiudi, apri. Zona gialla, zona rossa. Arancione rafforzato. Il vero balletto è questo, altro che Jerusalema. E poi gli infermieri perché ballano anziché fare il loro lavoro? Le previsioni sono buone, ma guai a fidarsi, ormai. Anche Alessandra Amoroso è più prudente, e nel nuovo singolo (senza i Boombadash, per evitare assembramenti) dal titolo Un sorriso grande (scelto come inno degli Europei di Calcio) canta un distanziato: «resto in strada a cantare».

Negli altri brani in arrivo fa capolino AstraZeneca, su Spotify dà il nome anche a tre brani. Uno è di un rapper sardo: «Io mi vaccino / per voglio te vicino».

È difficile essere padri durante i lockdown. Hai la famiglia a casa che ti guarda ansiosa e perplessa. I bimbi tormentano la mamma con l’estenuante «Che facciamo?», e per te hanno invece una domanda fatta con gli occhi, e quindi ancora più terribile: «Come finirà?». Lì ti devi caricare il peso del mondo, e devi dire davvero che andrà tutto bene, anche se non ci credi neanche tu. Ingoiavo, in quelle settimane infinite tra marzo e maggio, l’ansia e l’angoscia, impastavo pizza, organizzavo cineforum in salotto. E ovviamente mettevo musica.

_Poi, all’imbrunire, facevo un piccolo rito. Dopo aver ascoltato canzoncine e zecchini d’oro, baby shark e fattorie, selezionavo due brani, che per me erano un mantra. Li cantavo a squarciagola, con i miei figli, scaricavamo la tensione. Lo facevamo nel pomeriggio, alla finestra, con il tramonto negli occhi. La prima canzone era "__Canzone contro la paura" di Brunori, perché mi piace, e mi piace cantarla. La seconda canzone era "_Azzurro" di Paolo Conte, perché è la mia canzone contro la paura. Cercavo l’estate tutto l’anno. Poi l’estate è arrivata, ed è finita come è finita.

Tutto questo accadeva nel 2020. Poi siamo usciti, poi è tornato l’autunno, e non ho avuto più tempo per cantare, perché ero troppo impegnato ad aggiornarmi sui Dpcm.

Certo è che se oggi devo scegliere una canzone per la ripartenza, per fare il figo mi viene voglia di cercare nella scena indie italiana. Poi in realtà l’indie sta alla musica come il kamut al grano: è un marchio. Ormai tutto ciò che è indie finisce al Primo Maggio, e quello che è Primo Maggio finisce a Sanremo.

Ma se devo indicare proprio un paio di nomi, nel panorama italiano, al volo, per questa ripartenza ne faccio due. Il primo è Iosonouncane. Il suo terzo album è Ira, ed è uscito a maggio. È impossibile definire Iosonouncane, fa cose lunghe e complesse, con grazia, e di queste cose lunghe e complesse io sento bisogno più che mai quando qualcuno mi parla di “ripartenza”. Le canzoni di Ira sono disorientanti, non sono neanche canzoni, la lingua stessa non è italiano e non è inglese. È una musica coraggiosa e nuova, per noi che di coraggio abbiamo bisogno.

Il secondo nome è Cosmo. Rispetto a Iosonouncane siamo a livelli più intellegibili. La terza estate dell’amore è il titolo del suo album. È nuovo e diverso in altro modo. Ed è un modo per ricominciare sopra le macerie che ci siamo lasciati in questo anno. Cosmo, tra l’altro, è di molte parole, e ha pubblicato anche sul suo sito un manifesto sulla “poetica” di questo suo nuovo album: «La pandemia e i provvedimenti per contrastarla hanno fatto a pezzi gli ultimi rimasugli di vita sociale. Stiamo camminando sulle rovine di un sistema di valori che ha fallito: quello dell’individualismo, della competizione, della crescita illimitata e del conflitto».

Tra le canzoni dell’album ho in loop La musica illegale. Personalissimo tormentone che proporrò, spero con successo, ai miei figli per gli ascolti in macchina: La musica è illegale.

La musica è illegale

Suonare è quasi un gesto da criminale

La musica è illegale

Diventi un animale

Il pelo colorato non male

Roba che viene da dire: “Musica leggerissima”, spostati. Anche se Colapesce e Dimartino sono in gamba, oltre che siciliani, e Colapesce è quello di Maledetti italiani, e la loro Musica leggerissima è la nuova Centro di gravità permanente (in alto i cuori per Franco Battiato).

Cantano, hanno cantato e canteranno, i nostri musici. Della pandemia e del lockdown, del Covid e dei teatri chiusi, della voglia di ritrovarci e delle incertezze che ci aspettano. C’è però un’artista che ha scritto l’Alfa e l’Omega dell’alfabeto della pandemia. Ed è … Checco Zalone. Che è gran musicista, e di intelligenza viva. E durante la prima crisi, quella che ci chiuse dentro, ci ha strappato più di un sorriso con L’immunità di gregge, facendo, oltre che un omaggio a Modugno, un ritratto intimo della condizione di molti italiani.

La seconda canzone è arrivata poche settimane fa: La vacinada. Il nostro si innamora di una donna, non sa se dichiararsi o no. Poi scopre che è vaccinata (“vacinada”, il riferimento retorico questa volta è a Julio Iglesias e a quel mondo lì) e quindi decide di gettarsi contento tra le sue braccia. Un formidabile spot per l’utilità del vaccino, in giorni in cui arrivavano allarmi su “effetti indesiderati” e pericoli letali del siero. Sì, è Checco Zalone l’artista del nostro tempo, quello che ci descrive meglio, che sa cantare di noi in tempi di clausura, come di ripartenza.

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