Ciò che non viene mostrato, semplicemente non esiste: il senso della Russia per le Olimpiadi invernali di Pyeongchang, che si apriranno il 9 febbraio, sta tutto nella scelta dei broadcaster pubblici e privati – privati strettamente collegati al pubblico, in realtà – che hanno deciso di non trasmettere i Giochi sugli schermi delle televisioni russe. Dalla holding VGTRK, la TV di Stato russa, sino a Gazprom-Media, editrice del canale tematico “Match!”, il diniego è stato l’unanime reazione al provvedimento con cui il CIO ha sospeso la Russia dalla XXIII Olimpiade invernale (e, conseguentemente, anche dalle successive Paralimpiadi) a seguito del caso doping evidenziato dal rapporto McLaren commissionato dalla WADA, l’agenzia mondiale antidoping. Niente dirette, nessuna enfasi, giusto un rumore di fondo: questo saranno in Russia i Giochi sudcoreani. Sul fronte interno, insomma, la scelta mira soprattutto ad avere una conseguenza sociale sull’immagine delle Olimpiadi, ed è significativo notare come ciò avvenga a distanza di quattro anni dall’evento a cinque cerchi più coperto nella storia della televisione russa, ovvero i Giochi che, nel 2014, si svolsero a Sochi.
Una delegazione russa, tuttavia, a Pyeongchang sarà regolarmente in pista, perché la sospensione del CIO è tutto fuorché un azzeramento del movimento, dal momento che il comitato olimpico internazionale si era riservato la possibilità di invitare alcuni atleti dopo averne valutato – attraverso una commissione indipendente – l’idoneità, ossia l’estraneità alle pratiche dopanti del rapporto di cui sopra, schierandoli come neutrali sotto l’insegna “OAR”, vale a dire “Olympic athletes from Russia”. Una delegazione peraltro foltissima, considerando che in Corea del Sud andranno 169 atleti alle Olimpiadi e all’incirca 30 saranno coloro che prenderanno parte alle Paralimpiadi. Ad identificarli non ci sarà la bandiera nazionale (a proposito: a dispetto di quanto apparso su alcuni organi di informazione, non ne è stata vietata l’esposizione laddove si disputeranno le gare, anche se il CIO è pronto a prendere provvedimenti nel caso vengano utilizzate per «dimostrazioni organizzate di stampo politico») ma solo quella a cinque cerchi, e chi salirà sul primo gradino del podio ascolterà l’inno olimpico, non quello solennemente musicato nel 1934 da Alexandr Alexandrov.
Ed è qui, in fondo, l’aspetto politicamente più interessante dell’intera vicenda, perché la presenza degli atleti segnala in maniera decisamente plastica la strategia di Vladimir Putin. Una sorta di benedizione che in principio ha spiazzato chi si sarebbe atteso una reazione da falco, un boicottaggio insomma, come aveva preconizzato il vicepresidente della Duma Alexandr Lebedev, anche in virtù della squalifica perpetua dalle Olimpiadi stabilita dal CIO nei confronti di Vitaly Mutko, vice di Putin e ministro dello Sport dal 2008 al 2016. Il presidente russo però ha deciso, in questo caso, per il basso profilo: l’obiettivo è quello di mostrare un atteggiamento più conciliante in vista di un appuntamento ben più delicato, dal punto di vista diplomatico, vale a dire i Mondiali di calcio della prossima estate. Dei quali, non a caso, Mutko è una figura centrale, essendo il presidente del comitato organizzatore e della federcalcio russa. Da maggio, ciò che accadrà in Russia sarà all’ordine del giorno, e proprio per questo Putin non ha alcun motivo per alzare il livello del conflitto con le istituzioni sportive. Un’operazione di neutralizzazione sul presente, con sguardo sul futuro, quando i motivi di imbarazzo dei vertici sportivi internazionali non mancheranno, considerando la possibile apoteosi del braccio destro del presidente in caso di successo dei Mondiali.
Tanto più che il prossimo 18 marzo in Russia si svolgeranno le elezioni presidenziali e Putin correrà per ottenere il suo quarto mandato. Un’elezione che viene data per scontata dagli analisti politici: con un nuovo successo, il presidente prolungherebbe la propria ombra sino al 2024, con una proiezione al comando di quasi cinque lustri nonostante anni in cui le accuse di autoritarismo non sono mancate, così come gli allarmi sull’autonomia e indipendenza della stampa e sui diritti civili. Basti ricordare come il clima discriminatorio delle leggi contro l’omosessualità del 2014 convinse il CIO, in vista delle Olimpiadi di Sochi, ad inviare alle sedi olimpiche una lettera in cui si esplicitava come «ogni forma di discriminazione nei confronti di un paese o di una persona per motivi di razza, religione, politica, sesso o altro» fosse incompatibile «con l’appartenenza al Movimento Olimpico».
Ecco perché Putin ha evitato il muro contro muro, ma si è riservato qualche ulteriore mossa di consenso. Incontrando gli atleti in partenza per la Corea del Sud, ha ribadito la tesi più volte espressa di un’esclusione in cui «allo sport si è mescolata la politica» e ha invitato inoltre il ministero dello Sport ad organizzare una competizione per gli atleti esclusi da Pyeongchang. E quella, con ogni probabilità, sarà trasmessa in TV.