È di 358 vittime e più di 400 feriti il bilancio dell’esplosione di un camion bomba fuori dall’hotel Safari di Mogadiscio dello scorso 14 ottobre, il peggiore attentato terroristico mai avvenuto non solo in Somalia ma nell’intera Africa sub-sahariana. Una scena che si è ripetuta pochi giorni dopo, quando un’autobomba, guidata da un kamikaze è esplosa, colpendo il Nasa-Hablod, un hotel frequentato da politici e funzionari di governo.

Sotto accusa è subito finito al-Shabaab (in lingua somala “i giovani”, “i ragazzi”), il gruppo integralista islamico che da anni semina morte e terrore in Somalia ed è unanimemente riconosciuto come l’organizzazione terroristica più feroce d’Africa. Secondo un’analisi effettuata lo scorso aprile dall’Africa Center for Strategic Studies di Washington, nel 2016 al-Shabaab avrebbe ucciso 4281 persone, superando di gran lunga le 3499 morti causate dal gruppo nigeriano di Boko Haram, che dal 2012 al 2015 ha occupato il vertice della scala del terrore di matrice jihadista. Inoltre, alla luce di un report dell’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) e intitolato Conflict Trends, nei primi nove mesi dell’anno in corso la Somalia sarebbe il Paese con il più alto numero di vittime accertate (3827) a seguito di episodi di violenza e di azioni terroristiche. Secondo la stessa fonte, tali episodi di violenza avrebbero già raggiunto quota 1537 dall’inizio del 2017, più del doppio di quelli che sono stati registrati in Sud Sudan (686), il secondo Stato africano nell’infelice classifica. A spiegare la situazione contribuiscono da una parte gli scontri armati degli ultimi quattro anni di guerra civile, che avrebbero provocato il 56% delle vittime, dall’altra il fatto che da quando nel 2012 al-Qaida ha integrato i miliziani di al-Shabaab all’interno della propria rete si è verificato un drastico aumento degli attentati terroristici. Gli ultimi due, avvenuti a Mogadiscio, potrebbero addirittura essere stati la mossa decisiva per guadagnare ulteriore credito nel mondo dell’integralismo islamico e compiere il passo al quale da anni mirano alcune correnti del gruppo: l’affiliazione all’ISIS. Non a caso una cellula dello Stato islamico si è già stanziata nella regione semi-autonoma settentrionale del Puntland.

Oltre a imporre la legge islamica nelle vaste zone rurali di cui è composta la Somalia, i terroristi di al-Shabaab colpiscono anche il Kenya, colpevole di aver attaccato le loro basi nel Sud della Somalia nel 2011. Ma l’escalation della violenza in Somalia non è soltanto opera del fondamentalismo islamico. Il governo centrale è duramente impegnato nella lotta contro le milizie legate ai diversi clan attivi sul territorio, come quelle facenti parte del sotto-clan Habar Gidir (appartenente al clan degli Hawiye) o del sotto-clan dei Marehan (appartenente al clan dei Darod). L’incolumità dei civili è messa continuamente a repentaglio dalle violenze commesse dai diversi clan che cercano di spartirsi il territorio. Tra le molte ragioni che spiegano l’avvicinamento dei giovani somali all’estremismo radicale di al-Shabaab o all’appartenenza ai singoli clan (povertà, violazione dei diritti umani, disoccupazione, corruzione, disuguaglianza sociale), la religione non sembra essere la principale.

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