Negli ultimi tempi, in prossimità di importanti appuntamenti elettorali nelle democrazie occidentali e subito dopo la chiusura delle urne, la Russia è comparsa prepotentemente nel dibattito politico, chiamata in causa per presunte ingerenze nelle dinamiche del voto. Sulle asserite interferenze nelle elezioni presidenziali statunitensi di novembre 2016, nonché sui contatti tra l’entourage dell’allora candidato Donald Trump e figure più o meno collegate all’establishment politico russo, continua ad indagare negli Stati Uniti il procuratore speciale Robert Mueller; in Europa invece, Mosca è stata chiamata in causa per possibili influenze nel voto sulla Brexit – che Facebook e YouTube non sembrano però confermare attraverso l’analisi dei loro dati –; negli appuntamenti elettorali francesi dello scorso anno e nelle consultazioni italiane del 4 marzo.

Tra pochi giorni però – domenica prossima 18 marzo – saranno gli elettori russi ad essere chiamati alle urne, per un appuntamento elettorale parzialmente oscurato nelle cronache europee dall’ulteriore acuirsi delle tensioni tra Occidente e Cremlino, a seguito dell’avvelenamento in territorio britannico dell’ex spia russa Sergei Skripal. Londra – supportata da Francia, Germania e Stati Uniti – punta il dito contro Mosca, ritenendo evidente il coinvolgimento delle autorità russe nell’aggressione a Skripal; la Russia dal canto suo nega qualsiasi responsabilità e ha già annunciato di voler rispondere all’espulsione di 23 suoi diplomatici dal Regno Unito con una analoga misura, in una tipica azione di tit-for-tat.

Che alle presidenziali russe sia stato riservato meno spazio di approfondimento rispetto ad altri appuntamenti elettorali si deve probabilmente anche agli esiti scontati delle consultazioni: nessuno  infatti mette in discussione che la posizione di Putin alla guida del Paese sia solidissima, e pare persino superfluo – perché si tratta di mera ipotesi di scuola – specificare che un eventuale secondo turno dovrebbe svolgersi l’8 aprile nel caso in cui nessun candidato riuscisse a conquistare la maggioranza assoluta dei voti.

Degli avversari che contenderanno al presidente uscente – e certamente rientrante – l’incarico di capo dello Stato, nessuno risulta infatti accreditato di percentuali particolarmente significative, e l’obiettivo del 10% dei consensi rimane per ciascuno di loro estremamente difficile da raggiungere. Del resto, al Cremlino la principale preoccupazione sembra riguardare non tanto i risultati, quanto piuttosto le ‘dimensioni’ della vittoria di Putin, da accompagnare possibilmente con una buona partecipazione al voto: il target – secondo quanto sostengono i bene informati – sarebbe il cosiddetto 70-70, ossia il 70% dei consensi al presidente uscente con un’affluenza alle urne del 70%. Per i prossimi 6 anni dunque, il mondo dovrà ancora confrontarsi – e non di rado forse scontrarsi – con il dominus assoluto della politica russa dell’ultimo ventennio, il cui record di longevità al potere – da presidente o primo ministro – ha superato nel corso del 2017 quello di Leonid Brežnev. Ormai, tra i leader russo-sovietici dell’ultimo secolo, c’è solo Stalin davanti a lui.

Appare indubbio che questa longevità sia stata costruita nel corso degli anni puntellando un regime di fatto autocratico, sostanzialmente allergico al dissenso e in cui tutte le leve del potere rimanevano saldamente nelle mani di una sola persona. Limitare tuttavia l’analisi a tale prospettiva rischia di restituire un quadro monodimensionale di una storia politica assai più articolata e complessa, in cui peraltro la legittimazione popolare gioca un ruolo non secondario.

Un istituto indipendente come il Levada Center – che nel 2016 è stato designato come ‘agente straniero’ e a gennaio ha annunciato la sospensione delle rilevazioni sulle presidenziali temendo possibili accuse di ingerenza – ha certificato come nello scorso mese di novembre il gradimento verso Putin si attestasse sull’81%, a testimonianza di una popolarità estremamente solida. Seguendo peraltro l’andamento storico dei sondaggi, è possibile osservare come l’approvazione nei confronti dell’uomo forte della politica russa non sia mai scesa sotto il 60% dal 2000 ad oggi, tornando – dopo un periodo di crisi – stabilmente sopra l’80% dopo l’annessione della Crimea alla Russia nel marzo del 2014.

Succeduto al dimissionario Boris El´cin il 31 dicembre del 1999 ed eletto alla presidenza nel marzo del 2000, Putin ereditava un Paese in grande difficoltà, in cui gli oligarchi si arricchivano e la popolazione faticava ad avvertire i benefici della transizione politica ed economica dall’URSS. Salito al potere, il presidente ha così puntato alla stabilizzazione dell’economia, traendo anche beneficio dal positivo andamento dei prezzi del petrolio.

Negli ultimi anni non sono mancati i segnali di crisi – sia a causa delle sanzioni imposte dall’Occidente per il coinvolgimento russo nel conflitto ucraino che per il ridimensionamento dei prezzi delle risorse energetiche – ma come ha osservato Chris Miller in un articolo per Foreign affairs la ‘Putinomics’ è riuscita a ripartire, fondandosi su principali direttrici: in primis la stabilità macroeconomica, mantenendo costanti i livelli del debito e l’inflazione su percentuali gestibili; in secondo luogo puntando su bassa disoccupazione e pensioni stabili così da prevenire il malcontento, e infine cercando di incrementare l’efficienza del settore privato, nella misura in cui i suoi obiettivi economici non entravano in conflitto con la strategia politica del Cremlino.

C’è poi un ulteriore, decisivo elemento che ha rafforzato il consenso di Putin: la rinnovata assertività della politica estera russa, in forza della quale Mosca è oggi percepita come un attore con cui le potenze regionali e globali sono tenute a confrontarsi. Nel cosiddetto ‘estero vicino’, ossia quello spazio geopolitico ex sovietico che la Russia percepisce come sua naturale sfera d’influenza, il Cremlino non ammette interferenze; nei rapporti con l’Europa, la leva delle forniture energetiche rappresenta uno strumento particolarmente importante per far valere le posizioni di Mosca; in Medio Oriente poi – complice il ridimensionamento del ruolo americano nella regione – la Russia è riuscita a radicare la sua presenza e a tutelare i suoi interessi geopolitici. Mosca ha poi dimostrato di saper sfruttare con straordinaria abilità le difficoltà degli altri regimi politici, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione per massimizzare il proprio profitto geopolitico: in tal senso, esemplificativa è la capacità di utilizzo dei canali d’informazione affiliati al Cremlino o la presenza pervasiva sui social media per accentuare ulteriormente le fratture che animano alcune democrazie dell’Occidente, a tutto vantaggio della Russia

È dunque in questa assertività che è venuta a sostanziarsi quella che Jay Ogilvy – in un suo commento pubblicato su Stratfor – ha definito la transizione putiniana da una logica economica a una logica eminentemente geopolitica, che ha proiettato nuovamente Mosca sulla scena internazionale e risvegliato quell’orgoglio in parte ancora ferito per la perdita dello status di superpotenza di cui godeva l’Unione Sovietica.

In quest’ottica, non sorprende dunque che Putin si appresti a conquistare facilmente per la quarta volta l’incarico presidenziale, che gli consentirà di restare al potere per altri 6 anni. A ben guardare però, queste elezioni aprono da subito nuovi, interessanti scenari, da cui dipenderà gran parte del futuro della Russia. Nel 2024 – quando terminerà il mandato – Putin non potrà infatti ricandidarsi per via del limite di due mandati consecutivi, limite già rispettato peraltro quando nel 2008 assunse l’incarico di primo ministro e Medvedev fu eletto presidente della Repubblica. Allora, Putin avrà 72 anni, ed è dunque probabile che la sua parabola volgerà al termine: in questi 6 anni, se il presidente vorrà conservare intatta la sua eredità politica, sarà dunque indispensabile preparare la transizione. Per questo – come hanno giustamente sottolineato per l’European council on foreign relations Ivan Krastev e Gleb Pavlovsky – dopo il voto di domenica che lo confermerà presidente, Putin sarà anche impegnato a plasmare la Russia che verrà dopo di lui.

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