«Non abbiamo constatato nessun progresso. Dunque, non c’è nulla di particolarmente significativo da riportare». Così, nei giorni scorsi, si è rivolta alla stampa Michelle O’Neill, leader in Irlanda del Nord del partito nazionalista Sinn Féin, aggiungendo che è necessario un “cambio di passo” per uscire dallo stallo. Al momento, dopo le elezioni del 2 marzo, a Belfast non c’è un esecutivo. I negoziati finora condotti per la condivisione delle responsabilità di governo tra unionisti filobritannici e nazionalisti filoirlandesi – in linea con il principio del power sharing delineato dall’Accordo del venerdì santo del 1998 – non hanno prodotto alcun risultato, al di là del reciproco scambio di accuse tra il Sinn Féin e gli unionisti del Democratic Unionist Party (DUP) sulle responsabilità dell’impasse. Alle urne il DUP si è confermato partito di maggioranza relativa, pur perdendo 10 seggi rispetto alle elezioni del maggio 2016 e passando da 38 a 28 scranni su 90 nella locale Assemblea parlamentare; il Sinn Féin, invece, ha visto aumentare complessivamente il suo consenso di quasi 4 punti percentuali (27,9%) e conquistato 27 seggi. Guardando poi al quadro complessivo, si può apprezzare una novità politica di grande rilevanza: a seguito del voto, per la prima volta le diverse forze unioniste non controllano la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea dell’Irlanda del Nord.
Le consultazioni si sono rese necessarie dopo la conclusione nel mese di gennaio dell’esperienza del precedente governo di power sharing, con le dimissioni da deputy first minister di Martin McGuinness, ex combattente e insieme a Gerry Adams leader del Sinn Féin. La decisione si ricollegava allo scandalo connesso al controverso schema Renewable Heat Incentive (RHI), elaborato nel 2012 con l’obiettivo di incentivare l’utilizzo delle rinnovabili – tanto a livello domestico quanto nelle attività di business – per il riscaldamento, al posto dei combustibili fossili. Non essendo, tuttavia, stato studiato alcun meccanismo di controllo dei costi ed essendo prevista l’erogazione di generosi sussidi per l’uso delle rinnovabili, si crearono le condizioni per un sostanziale abuso dello schema di incentivi, con un imponente aggravio sulle casse nordirlandesi quantificato in quasi 500 milioni di sterline per i prossimi 20 anni. Lo scandalo,  ribattezzato Cash for ash  – ossia “Soldi in cambio di cenere” –, è emerso nel corso del 2016 e ha toccato in prima persona la leader del DUP Arlene Foster, diventata first minister ma titolare – all’epoca dell’elaborazione dello schema – del dipartimento dell’Impresa, del commercio e degli investimenti, che del programma era responsabile. A fronte di ciò, il Sinn Féin aveva chiesto alla Foster di lasciare il suo incarico durante lo svolgimento delle necessarie indagini sul caso, una richiesta a cui però la first minister aveva opposto il suo deciso rifiuto. Di qui, il venir meno di McGuinness e, di fatto, la destrutturazione dell’intero governo.
Dopo le elezioni, le parti sono state chiamate a negoziare in 3 settimane la costituzione di un governo di power sharing. Alla deadline del 27 marzo non erano state raggiunte le condizioni per concludere un accordo: su diverse questioni le posizioni restavano, infatti, distanti, dal modo in cui confrontarsi con l’eredità dei Troubles – ossia la fase di conflitto tra le contrapposte fazioni – all’introduzione di un Irish language act – dunque una legge sulla lingua irlandese – fino alla legalizzazione sui matrimoni tra persone dello stesso sesso cui il DUP si oppone. La durata dei colloqui è stata prolungata con l’obiettivo di raggiungere l’intesa, traguardo cui le forze politiche dichiarano di aspirare. Entro il 18 aprile, dopo la sosta di Pasqua, saranno necessarie risposte, in un senso come nell’altro: se accordo ci sarà, si procederà al ripristino del funzionamento del sistema di potere condiviso, in caso contrario – ha dichiarato il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord James Brokenshire – le varie opzioni sono sul tavolo, compresa l’ipotesi di direct rule da parte di Londra. Alla possibilità di esercizio diretto del potere da parte del governo centrale londinese si è ovviamente opposta con forza Michelle O’Neill, secondo cui l’unica opzione praticabile in caso di fallimento dei negoziati sarebbe il ritorno alle urne. E nell’opinione di alcuni unionisti – secondo quanto riportato da The Guardian – nuove consultazioni non sarebbero sgradite in taluni ambienti del Sinn Féin, che potrebbe cercare di capitalizzare l’emozione dei recenti funerali di McGuinness, morto il 21 marzo.
L’incertezza a Belfast incide anche oltre il livello locale, soprattutto dopo l’avvio delle procedure per la Brexit. Da una parte, infatti, l’Europa ha svolto un ruolo di grande importanza come facilitatore del dialogo per porre fine al conflitto irlandese, e del resto Bruxelles ha assicurato che nel corso dei negoziati sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea saranno valutate con attenzione tutte le questioni che potrebbero indebolire il confronto e la tenuta del processo di pace. Dall’altra parte poi, c’è il tema del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, il cui ‘peso’ nella comune cornice europea si era alleggerito: l’eventualità che quella frontiera possa ritornare ‘hard’, ossia dura, con Londra fuori dall’UE, inevitabilmente preoccupa, nonostante le rassicurazioni della May. Sul blog della London School of Economics, Janice Morphet ha giustamente rilevato che le nuove fiammate di indipendentismo scozzese tendono ad attirare maggiormente l’attenzione, ma l’importanza dell’Irlanda del Nord nel quadro della Brexit è destinata a crescere.
Downing street è già stata oggetto di critiche per non aver tenuto in debita considerazione la posizione di Belfast in queste prime fasi. A oggi poi, con i negoziati ancora in corso e senza un governo condiviso, c’è il rischio che l’Irlanda del Nord – che ha votato in modo convinto per restare nell’UE – finisca per subire il processo della Brexit invece che poter realmente incidere sui suoi esiti.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata