Raid aerei degli Stati Uniti hanno colpito, nelle prime ore di lunedì 28 giugno, al confine fra Iraq e Siria, le milizie filoiraniane presenti nell’area. L’azione è stata realizzata dalla US Air Force con l’impiego di caccia F-15 e F-16; l’Osservatorio siriano per i diritti umani riporta che cinque combattenti delle milizie sciite sarebbero stati uccisi e molti altri feriti. Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana, ci sarebbero state però vittime anche tra i civili; l’attacco aereo avrebbe provocato la morte di un bambino e il ferimento di altre tre persone che abitavano nell’area in strutture residenziali. I gruppi colpiti sono considerati dal Pentagono responsabili di attacchi portati in Iraq contro strutture e personale USA. Sono state colpite tre basi delle milizie filoiraniane, due in Siria e una in Iraq. Si tratta in particolare di Kata’ib Hezbollah (KH) e Kata’ib Sayyid al-Shuhada (KSS) che fanno parte insieme ad altre formazioni delle Forze di mobilizzazione popolare (PMF, People’s Mobilization Forces), attive in Iraq e in Siria. Le milizie Kata’ib Sayyid al-Shuhada, che secondo alcune fonti avrebbero contato quattro morti fra le loro fila, sono attive dal 2013; guidate da Abu Alaa Al- Wala’i, sono composte da circa 4.000 effettivi, mobilitati sia nei conflitti interreligiosi sia nel sostegno al regime di Assad in Siria. Uno dei blitz ha colpito una loro base in territorio siriano, nell’area di al-Hari a circa 8 km dal confine con l’Iraq.

Le Forze di mobilitazione popolare hanno manifestato l’intenzione di rispondere all’iniziativa degli Stati Uniti, con minacce esplicite. Le azioni sono state giustificate dal Pentagono come «bombardamenti aerei preventivi di precisione» volti a sanzionare gli attacchi che per lo più attraverso l’uso di droni sono stati portati dalle milizie filoiraniane contro la presenza degli Stati Uniti in Iraq. Operazioni ostili che si sono intensificate dopo l’uccisione di generale iraniano Qasem Soleimani, avvenuta a Baghdad il 3 gennaio 2020. L’attacco aereo mostra la volontà dell’amministrazione Biden di consolidare la presenza USA in Iraq e contrastare l’influenza iraniana nella regione; le modalità dell’azione hanno però creato forti tensioni. Il premier iracheno Mustafa Al-Kadhimi ha condannato l’azione degli Stati Uniti definendola «una flagrante e inaccettabile violazione della sovranità e della sicurezza nazionale» e ribadendo che l’Iraq non vuole diventare l’arena di un regolamento di conti fra realtà straniere. Reazioni negative anche da parte delle forze armate e di diversi movimenti politici presenti in Parlamento. La politica statunitense non intende derogare da una costante pressione sull’Iran; non può però ignorare i complessi legami che permangono da un punto di vista politico, religioso e culturale tra Iraq e Iran.

Immagine: Truppe statunitensi in Siria (11 novembre 2019). Crediti: U.S. Army Reserve photo by Spc. DeAndre Pierce [Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)], attraverso www.flickr.com

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