Lunedì 11 gennaio i democratici hanno presentato alla Camera dei rappresentanti una mozione che propone di mettere in stato di accusa Donald Trump per il gravissimo reato di «incitamento all’insurrezione»; nella mozione, di sole quattro pagine, i cui primi firmatari sono i deputati David Cicilline, Ted Lieu e Jamie Raskin, si evidenzia il ruolo del presidente nell’assalto di mercoledì 6 gennaio a Capitol Hill, che ha causato cinque morti e diversi feriti. Le responsabilità di Trump vengono fatte risalire alle sue dichiarazioni sulla validità dell’elezione di Joe Biden, alle pressioni esercitate per ribaltare l’esito del voto in Georgia e ai contenuti del comizio del 6 gennaio che ha preceduto l’attacco a Capitol Hill.

I tempi dell’iniziativa del Partito democratico saranno molto ravvicinati, in base alla valutazione di estrema gravità della situazione: secondo le parole di Nancy Pelosi, Donald Trump rappresenta «un’immediata minaccia» per la democrazia e per la Costituzione degli Stati Uniti. I democratici hanno infatti proposto alla Camera nella stessa giornata di lunedì una mozione per sollecitare il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence ad applicare il 25° emendamento, che comporterebbe la rimozione immediata di Donald Trump; questa procedura non è stata avviata da Pence, nonostante la sua forte condanna degli avvenimenti del 6 gennaio, e non otterrà comunque il voto dei repubblicani, necessario alla sua approvazione. A questo punto mercoledì 13 la Camera dovrebbe votare la proposta di impeachment che con ogni probabilità sarà accolta, poiché c’è una larga maggioranza a favore dei democratici.

La messa in stato di accusa per diventare effettiva deve però ottenere anche l’approvazione del Senato e sono necessari anche i voti di almeno diciassette senatori repubblicani. Nonostante le molte critiche che sono state rivolte a Trump anche all’interno del suo partito, l’esito del voto del Senato è tutt’altro che scontato. Inoltre, non è detto che si arrivi a un pronunciamento entro il 20 gennaio, data dell’insediamento di Joe Biden, perché al Senato dovrebbe svolgersi un effettivo processo, con le sue procedure e i suoi tempi. È comunque considerato corretto da un punto di vista procedurale, secondo autorevoli esperti giuridici, che il percorso dell’impeachment si concluda dopo la fine del mandato presidenziale; un eventuale accoglimento della proposta, non avrebbe un ruolo solamente simbolico, perché diventerebbe un ostacolo insormontabile a una nuova candidatura di Donald Trump nelle elezioni del 2024.

James Clyburn, capogruppo dei democratici alla Camera, ha proposto di rimandare il processo del Senato, per non intralciare i primi cento giorni della presidenza Biden, tradizionalmente dedicati all’insediamento e al delicato percorso di avvio della nuova amministrazione. È chiaro ormai che non ci saranno ulteriori ostacoli e Joe Biden sarà il nuovo presidente dal 20 gennaio; la posta in gioco in questi giorni è il futuro politico di Donald Trump, che gode ancora di un certo consenso nel Paese, nonostante sia considerato un pericolo per le istituzioni dai democratici e una presenza ingombrante da una parte del suo stesso partito.

Immagine: Donald Trump (19 febbraio 2020). Crediti: Gage Skidmore [Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)], attraverso Wikimedia Commons

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