Alla fine Boris Johnson ha ceduto: davanti a Downing Street l’altro ieri pomeriggio ha annunciato che il gruppo parlamentare conservatore ha deciso di scegliere un altro leader. L’ormai ex capo dei conservatori nel suo discorso ha ricordato più volte questo aspetto: si sente sfiduciato dai suoi parlamentari, ma non da quei 14 milioni di elettori che a dicembre del 2019 gli hanno consegnato una delle più grandi maggioranze della storia dei Tories. Dopo mesi in cui Johnson sembrava destinato a cadere a causa dei continui scandali personali, cede il passo di fronte alle polemiche scatenate dai comportamenti di un suo alleato, Chris Pincher, accusato di molestie nei confronti di due giovani. Johnson ha ammesso in Parlamento di sapere di precedenti comportamenti simili da parte dell’ex capogruppo dei Tories ma che credeva che avesse cambiato stile di vita dopo essersi scusato in passato. Questa, debolissima, difesa non ha convinto il gruppo parlamentare e buona parte del governo. Oltre cinquanta, tra ministri e sottosegretari, hanno annunciato le proprie dimissioni e chiesto che Johnson facesse altrettanto. Uno stillicidio certamente coordinato, a partire dalle dimissioni quasi contemporanee di Rishi Sunak e Sajid Javid (cancelliere dello Scacchiere e ministro della Sanità) che avevano dato il via alle danze. D’altronde i backbencher avevano recentemente espresso i propri dubbi circa la leadership di Johnson votando in massa una sfiducia che, pur non essendo maggioritaria in termini di numeri, era imponente in termini politici.

Tuttavia, l’ex sindaco di Londra non lascia il ruolo di leader senza confermarsi un personaggio refrattario a rispettare le azzimate consuetudini della politica britannica. Sceglie di non dimettersi da primo ministro ma “solo” da leader del partito e anzi ha annunciato di voler rimanere a Downing Street sino a quando i Tories non avranno trovato un nuovo leader. Questo vorrebbe dire, potenzialmente, anche fino alla conference conservatrice prevista a Birmingham la prima settimana di ottobre. Una situazione ai limiti della legittimità costituzionale, soprattutto considerando che buona parte del governo sarebbe da ricostruire nelle prossime ore, pur guidato da un primo ministro ormai sfiduciato dal suo stesso gruppo. Ciononostante, dal punto di vista giuridico e costituzionale non c’è niente che obblighi Johnson alle dimissioni e tecnicamente anche un voto di sfiducia proposto dalle opposizioni potrebbe non obbligarlo a dimettersi con effetto immediato (e comunque i Tories potrebbero non votare una sfiducia al governo, perché questo comporterebbe teoricamente lo scioglimento del Parlamento, eventualità che i conservatori non possono permettersi prima di eleggere un nuovo leader).

In questa situazione molto confusa la palla passa al 1922 Committee, che riunisce i backbencher Tories e che ha adesso il compito di stabilire i tempi di elezione del successore di Johnson. Il comitato si riunirà lunedì e le prime selezioni all’interno del gruppo parlamentare potrebbero già partire la prossima settimana. In teoria il processo porta a individuare due candidati che poi andranno sottoposti al vaglio degli iscritti del partito tramite voto postale a seguito di una – breve – campagna congressuale. Verosimilmente questo processo potrebbe terminare agli inizi di settembre, se il comitato dovesse scegliere delle tempistiche molto serrate. Tuttavia, è già successo recentemente, con la successione a David Cameron, che dal gruppo parlamentare uscisse un’unica candidatura tale da rendere superfluo il passaggio tra gli iscritti e rapidissima la selezione del nuovo primo ministro: in quel caso fu scelta Theresa May.

Per il momento in molti paiono voler partecipare alla corsa per la successione, a partire dai due sopracitati Sunak e Javid, oltre ad altre personalità come Liz Truss, attualmente ministra degli Esteri. Ci sono poi altre personalità “minori”, che però hanno il vantaggio di non essere legate a doppio filo alla leadership di Johnson, come i suoi ex ministri principali, in particolare Sunak, che al momento è di gran lunga il più popolare, stando ai sondaggi recenti. Vedremo dunque come evolverà questo vero e proprio terremoto scatenatosi all’interno dei Tories, che non si sono mai veramente ripresi dalle grandi divisioni generatesi attorno al dibattito sulla Brexit e che sono prepotentemente riemerse ora che nell’opinione pubblica quel tema non ricopre più nessun interesse, rimpiazzato dalle preoccupazioni per una crisi economica fortissima e dalla quale non paiono esserci rapide vie d’uscita.

Immagine: Boris Johnson (aprile 2022). Crediti: Shag 7799 / Shutterstock.com

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