21 ottobre 2021

A Bruxelles si consuma lo scontro tra UE e Polonia

Sarà un Consiglio europeo ad alta tensione quello che oggi pomeriggio riunirà a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea (UE). La durezza dello scontro fra l’UE e la Polonia sul rispetto dello Stato di diritto ha ormai raggiunto un punto di non ritorno che non mancherà di creare tensioni fra i leader europei.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha cercato fino all’ultimo di mantenere la battaglia politica e giudiziaria fuori dall’agenda della riunione, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuta essere consacrata principalmente alla politica energetica e climatica. Tuttavia, la recente sentenza della Corte costituzionale polacca che contesta il primato del diritto dell’Unione su quello di Varsavia, ha infiammato lo scontro già molto duro fra Bruxelles e il governo guidato da Mateusz Morawiecki, del partito Diritto e Giustizia (PiS). 

«Durante la nostra sessione di lavoro, tratteremo anche i recenti sviluppi legati allo Stato di diritto» si è limitato a scrivere Michel nella sua lettera d’invito inviata ai leader europei. Appena una riga che racchiude in sé un dibattito potenzialmente esplosivo.

 

Le tensioni al Parlamento europeo

Il primo, durissimo, faccia a faccia è andato in scena martedì a Strasburgo nell’emiciclo del Parlamento europeo. In un dibattito interamente dedicato alla crisi polacca sullo Stato di diritto, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato di essere «profondamente preoccupata» perché «la situazione è peggiorata». «In questo momento la Commissione sta valutando attentamente la sentenza» della Corte costituzionale polacca, ma quest’ultima «mette in discussione le fondamenta dell’Unione Europea. È una sfida diretta all’unità dell’ordine legale europeo», ha detto von der Leyen nei 10 minuti del suo discorso, durante i quali ha anche evidenziato: «è la prima volta che la corte di uno Stato membro reputa i trattati dell’Unione incompatibili con la costituzione nazionale». «Il cerchio si chiude», ha continuato la presidente, visto che la Corte costituzionale che mette in dubbio la validità dei trattati comunitari «è la stessa che consideriamo non essere legittima né indipendente». Quattro sono quindi le armi a disposizione della Commissione: lanciare una procedura d’infrazione davanti a quella stessa Corte di giustizia dell’UE che la Polonia non considera pienamente competente sul proprio territorio. Oppure, attivare per la prima volta il meccanismo che blocca l’erogazione di fondi europei del bilancio 2021-27 ai Paesi che minacciano il rispetto dello Stato di diritto. Terza opzione, rilanciare la procedura regolata dall’art. 7 del Trattato sull’UE che «prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente da parte di un paese membro dei principi sui quali poggia l’Unione». Ultima freccia nella faretra di Bruxelles è il via libera al Recovery plan da 36 miliardi di euro (23,9 a fondo perduto) della Polonia, la cui approvazione resterà sospesa finché Varsavia non accetterà le raccomandazioni di Bruxelles sull’indipendenza della giustizia.   

Morawiecki, dal canto suo, ha reagito nell’unica maniera possibile: attaccando sia la Commissione che gli altri Stati membri per 30 lunghi minuti, ben oltre il tempo che gli era stato concesso e nonostante i continui richiami all’ordine del vicepresidente del Parlamento europeo. Il primo ministro ha respinto qualsiasi idea di una possibile “Polexit” (termine che ricalca quello usato per la Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’UE), sostanzialmente accusando i suoi omologhi d’ipocrisia e l’Unione di accanirsi contro il suo Paese.

 

Verso lo scontro fra i leader europei

La linea più morbida che sta cercando di seguire Angela Merkel (probabilmente alla sua ultima partecipazione ad un Consiglio europeo) non sembra aver fatto breccia fra le altre cancellerie dell’UE. Il premier dei Paesi Bassi Mark Rutte arriverà a Bruxelles con un chiaro mandato espresso dal Parlamento nazionale di sollevare la questione polacca durante la riunione. Martedì, i ministri degli Affari europei dei Paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi), che tradizionalmente hanno il compito di preparare la riunione dei capi di Stato e di governo, hanno diffuso una nota congiunta in cui chiedono alla Commissione di adottare misure «rapide e decise».

A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci penserà anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli (che, ancora convalescente dopo una brutta polmonite, invierà il suo intervento in forma scritta) visto che ieri l’aula di Strasburgo ha deciso di avviare un procedimento legale contro la Commissione per la mancata applicazione del nuovo regolamento sullo Stato di diritto. Cioè per non aver già da tempo bloccato l’erogazione dei fondi ai Paesi che non garantiscono il pieno rispetto dello Stato di diritto.

L’unico leader europeo pronto a prendere le difese di Varsavia è l’ungherese di Viktor Orbán, anch’egli sotto la lente dell’Unione per possibili violazioni dello Stato di diritto.

La tavola è ormai apparecchiata per un durissimo scontro che potrebbe incrinare ulteriormente i rapporti fra le capitali, galvanizzare i movimenti estremisti e populisti, ma anche bloccare l’intera macchina legislativa europea nei prossimi mesi. Molte delle decisioni più importanti ancora da prendere vanno infatti approvate all’unanimità dai Paesi membri. Ed è questa l’arma più potente nelle mani di Varsavia, che ha già annunciato di voler rivedere alcune proposte della Commissione in materia energetica e climatica.

Alcuni osservatori parlano di uno scontro che, a queste condizioni, né l’Unione né Varsavia possono sperare di vincere. Ma a che prezzo?

 

Immagine: Mateusz Morawiecki (28 giugno 2018). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com

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