17 novembre 2021

COP26, dove anche la promessa di piantare alberi si scontra con la realtà

 

Preparatevi a due domande semplici. C’è terra sufficiente sulla Terra per piantare i miliardi di alberi teoricamente necessari allo scopo di assorbire il carbonio che riversiamo nell’atmosfera usando i combustibili fossili, responsabili del surriscaldamento globale? E se tutta quella terra ci fosse, basterebbero 10 anni (o 20 o 30) per raggiungere l’obiettivo? La risposta del professor Francesco Ferrini, ordinario di Arboricoltura generale e Coltivazioni arboree all’Università di Firenze, è altrettanto semplice: «No, non ci sono né terra né tempo sufficienti. Gli alberi sono necessari, certo. Ma prima di tutto occorre che l’umanità, da subito, inquini meno e immetta meno carbonio nell’atmosfera».

Il “No” del professor Ferrini è un fulmine a ciel sereno. Perché trasforma in una favola un mega progetto spacciato per realizzabile: “coprire” il pianeta di alberi è uno degli obiettivi dei grandi Paesi, annunciato con le fanfare dalla “Dichiarazione di Glasgow sulle foreste e la terra”. È stata sottoscritta pochi giorni fa durante la COP26 da oltre cento Stati, quelli che ospitano l’85% delle foreste del mondo, fra i quali Russia, Cina, Indonesia, Colombia, Congo e Brasile. Obiettivo: conservare e ripristinare le foreste entro il 2030, nell’ambito del piano contro la deforestazione.

Prima di capire perché abbiamo una Terra senza terra a sufficienza, è il caso di fare un passo indietro. Nella tragedia Il conte di Carmagnola, alla fine del II atto, Alessandro Manzoni inserisce il coro che canta la battaglia di Maclodio (1427), quella in cui i veneziani sconfissero il Ducato di Milano e i Visconti: «S’ode a destra uno squillo di tromba/ A sinistra risponde uno squillo / D’ambo i lati calpesto rimbomba / Da cavalli e da fanti il terren…». Quel tono epico ricorda la prosopopea con cui i potenti del mondo ‒ durante il G20 romano e la successiva COP26 a Glasgow ‒ hanno annunciato di volere investire 19,2 miliardi di dollari per porre fine entro il 2030 alla strage di foreste e per avviare la riforestazione.

 

Gli squilli di tromba non sono mancati, a Glasgow. Si è udito il presidente Vladimir Putin (collegato da remoto) spiegare che la Russia fa affidamento sulle sue vaste foreste e sulla «loro significativa capacità di assorbire anidride carbonica e produrre ossigeno» per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2060. Si è sentito il premier britannico Boris Johnson proclamare: «Dobbiamo fermare la devastazione delle foreste». Il presidente USA Joe Biden ha annunciato l’impegno a stanziare fino a 9 miliardi di dollari entro il 2030. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è stata «lieta di annunciare che la Commissione europea destinerà un miliardo di euro al Global forest pledge (Impegno globale per le foreste, ndr)» e ha aggiunto che dovranno essere piantati 3 miliardi di alberi in Europa (sempre entro il 2030). Il ministro della Transizione ecologica (MiTE) italiano, Roberto Cingolani, il 9 novembre ha firmato il progetto per la tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano: circa 330 milioni di euro per piantare almeno 6,6 milioni di alberi col coinvolgimento di 14 città metropolitane («Questo è uno degli importanti impegni previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza», si legge in un comunicato del MiTE).

 

Insomma, come ne Il conte di Carmagnola, durante la COP26 il coro dei 20 leader ha decretato epicamente la rinascita delle foreste. Con la differenza che il condottiero Carmagnola sconfisse davvero i veneziani, mentre i potenti della Terra per ora giurano di voler sconfiggere il riscaldamento globale. Per giunta, l’epica della forestazione a tempo di record ‒ nonostante i 15,3 miliardi di alberi abbattuti ogni anno e le poche decine di milioni piantati nello stesso arco di tempo ‒ trova conforto nell’iniziativa One Trillion Trees lanciata nel 2020 dal World Economic Forum allo scopo di fornire supporto al Decennio delle Nazioni Unite sul ripristino dell’ecosistema (2021-30). L’obiettivo: «Far crescere, ripristinare e conservare 1 trilione di alberi in 10 anni entro il 2030» in tutto il mondo, nel tentativo di evitare «il collasso della biodiversità» e contrastare «la crisi climatica». Ebbene, un trilione è l’equivalente di mille miliardi di piante.

 

Professor Ferrini, quindi mille miliardi di alberi non possono salvarci dal cambiamento climatico?

Gli alberi fanno il loro dovere. Però tra il dire e il fare, tra gli slogan a proposito della riforestazione e la realtà, c’è un baratro. Una cosa è piantare numeri, come fanno i leader del pianeta; un’altra è piantare alberi. E per capirlo non occorre essere geni, è sufficiente un calcolo elementare.

 

Quale calcolo?

Guardiamo al progetto One trillion trees. Ammesso e non concesso che si possano trovare le piantine necessarie (quali vivai dovrebbero fornirle?), piantandone 100 milioni ogni settimana, obiettivo tecnicamente molto ambizioso, per giungere a mille miliardi quanti anni servirebbero? Ben 192. Si arriverebbe al 2213, troppo tardi per salvare il pianeta. Ovviamente, 192 anni valgono se si immagina che tutti gli alberi piantati sopravvivano. Però, nella realtà, va già bene quando ne sopravvive la metà: quindi realisticamente si arriva a 384 anni per centrare l’obiettivo. La questione diventa ancora più complessa se si considera che la stagione adatta per piantarli non copre 12 mesi: in Europa, per esempio, i giorni adatti non sono più di 120 in un anno. Non esistono soltanto questi problemi. Manca, come dicevo, la quantità di superficie terrestre sufficiente per accogliere mille miliardi di alberi adulti.

 

In che senso?

Prendiamo un tiglio. Il raggio della sua chioma mediamente arriva a 5 metri, quando è adulto, e la sua area occupa più o meno 78 metri quadrati. Per mantenerlo verde e attivo sul fronte della fotosintesi di metri quadrati ne occorrono 113, con circa una novantina di piante per ettaro, necessarie per garantire una capacità ottimale di fissazione di CO2. Però supponiamo di riuscire a far stare in un ettaro 100 tigli. Per arrivare a 1.000 miliardi di tigli  servirebbero 100 milioni di km quadrati, poco meno di tre quarti dei 149 milioni occupati dalle terre emerse. Considerando che circa 50 milioni di km quadrati ospitano deserti, dovremmo coprire di alberi tutto il resto. Per rendere ancor di più l’idea, possiamo dire che occorrerebbe uno spazio vasto almeno come 10 Canada o 330 Italie.

 

Insomma, le cifre sparate a raffica dai potenti della Terra sono inverosimili?

Esatto. Per quel che riguarda gli alberi, sono slogan senza una prospettiva concreta di realizzazione. Nel frattempo la COP26 ha tergiversato sulla data entro la quale arrivare all’azzeramento delle emissioni nette globali di gas serra. Si sta parlando in modo generico della metà del XXI secolo.

 

Quindi non serve piantare alberi?

Serve. Però vanno piantati in modo corretto nelle aree in cui sono indispensabili, per esempio quelle urbane e suburbane. Altrove occorre far sì che la natura torni a colonizzare tantissime zone disboscate e lasciate a se stesse. Magari chiedendo prima come muoversi a chi è veramente esperto in materia di gestione delle foreste, per evitare di combinare disastri. Di certo, non si può far credere alla gente che gli alberi possano eliminare da soli, nel giro di pochi anni, il carbonio fossile che noi mettiamo in circolo nell’atmosfera. Né si può far credere che sia possibile piantarne centinaia di miliardi nel giro di pochi anni. Semmai bisogna capire, e far capire a tutti, che occorre prima di tutto eliminare le fonti di inquinamento, a livello industriale e anche individuale.

 

Perché sostiene che, piantando alberi a caso, si rischia di combinare disastri?

Bisogna proteggere gli interi ecosistemi per riuscire a catturare e immagazzinare carbonio. Limitarsi a piantare alberi può essere disastroso, perché imporli nelle savane e nelle torbiere distrugge la biodiversità e rischia di far finire nell’atmosfera più carbonio di quello sottratto.

 

Per giunta, ci sono popolazioni che vivono nei territori candidati a eventuali riforestazioni. Rischia di farne le spese soprattutto il Sud del mondo, con i Paesi meno ricchi?

Sì. È indispensabile garantire i diritti delle popolazioni rurali e di quelle indigene. La rigenerazione naturale assistita delle foreste, là dove esistevano, offre più stoccaggio del carbonio, più biodiversità e maggiori benefici per le comunità locali. Invece il tentativo di raggiungere obiettivi non realistici nella piantagione di alberi rischia di far commettere gravi errori: possono essere piantati in modo errato, nei posti sbagliati e senza il consenso delle popolazioni, che vedono minacciata la propria sopravvivenza. Non a caso, gli attivisti indigeni durante la COP26 hanno definito gli schemi di compensazione del carbonio elaborati dai potenti come ‘una nuova forma di colonialismo’. Insomma, si rischia di spingere la gente, dalle nostre parti, a credere nelle favole, a campare di slogan e a non fare nulla per proteggere il pianeta.

 

Bibliografia

Francesco Ferrini, Ludovico Del Vecchio, La terra salvata dagli alberi, Elliot, Roma 2020

Francesco Ferrini, Ludovico Del Vecchio, Resistenza verde. Manuale di autodifesa ambientale, Elliot, Roma 2021

 

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