È piuttosto singolare che una trasmissione televisiva di intrattenimento si trovi al centro di una complessa controversia geopolitica, in modo tale da comportare anche l’intervento della magistratura. Eppure, è quanto successo in seguito a una domanda rivolta a un concorrente nel corso di una puntata del programma RAI L’Eredità, andata in onda il 21 maggio. Il conduttore Flavio Insinna aveva chiesto a un concorrente del gioco a quiz quale fosse la capitale di Israele; la risposta Tel Aviv era stata considerata errata e Gerusalemme veniva valutata come unica risposta esatta. Chi conosce la storia recente di Gerusalemme, di Israele e del Medio Oriente, non si è troppo stupito quando sono arrivate le contestazioni e sono scoppiate le polemiche. In particolare, l’Associazione palestinesi in Italia e l’Associazione benefica di solidarietà con il popolo Palestinese, hanno fatto ricorso alla magistratura sostenendo che la RAI aveva diffuso una notizia errata in quanto gran parte della comunità internazionale non considera Gerusalemme la capitale di Israele. Un tentativo di rettifica veniva mandato in onda due settimane dopo; Insinna aveva letto un comunicato in cui ci si scusava per aver ‘evocato’ una questione così delicata e si riconosceva «l’esistenza di posizioni diverse». Non è stato sufficiente; il giudice del Tribunale di Roma Cecilia Pratesi ha condannato la RAI per aver diffuso un’informazione errata. L’azienda dovrà pagare 3.000 euro per le spese legali e durante la trasmissione sarà letta una più chiara rettifica: «Il diritto internazionale non riconosce Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele».
Questo piccolo episodio porta ad alcune riflessioni. Indirettamente, la vicenda giudiziaria rimanda al peso che continuano ad avere le trasmissioni televisive di intrattenimento nel formarsi dell’opinione pubblica. La controversia giuridica è anche un indicatore però di quanto sia sentita e avvertita come centrale la questione di Gerusalemme all’interno del conflitto fra israeliani e palestinesi. Considerata ‘città santa’ da ebrei, cristiani e musulmani, dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967, tutta la città passò interamente sotto il controllo d’Israele e nel 1980 l’annessione fu solennemente sancita da una «legge fondamentale» che proclamò Gerusalemme capitale «unita e indivisibile» dello Stato di Israele.
Nonostante il pronunciamento dell’ONU che non riconosce la definizione di Gerusalemme come capitale, Israele ne fa un punto centrale della sua politica e della sua immagine; un atteggiamento incoraggiato dal sostegno degli Stati Uniti. Ma la questione è centrale anche per i palestinesi, che rifiutano ogni soluzione che non dia una risposta alle loro aspirazioni rispetto a Gerusalemme. Naturalmente la sentenza del Tribunale non sposta nulla rispetto alla questione e alle posizioni delle parti in causa: si limita a constatare quale è la posizione dell’ONU, appoggiata anche dall’Italia, che non riconosce la decisione di Israele rispetto a Gerusalemme, partendo dall’assunto che le deliberazioni dell’ONU possono essere definite una fonte di «diritto internazionale convenzionalmente applicabile». Il Tribunale riconosce l’attuale stato dei fatti e non entra nel merito del diritto di Israele e dei palestinesi di rivendicare Gerusalemme come propria capitale. La sentenza condanna la RAI per aver diffuso «un’informazione errata», non prende posizione politicamente. I responsabili della trasmissione hanno forse mancato di senso dell’opportunità, comprimendo una delle questioni più controverse della politica internazionale in una cornice inappropriata. Rimane sullo sfondo un grande tema che comprende motivazioni politiche, simboliche, sociali religiose. La risposta che daranno in futuro le parti interessate e la comunità internazionale a queste istanze così sentite potrebbe alleggerire tutta l’area da una difficile eredità che pesa sulle prospettive di pace.
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