Il 23 aprile prossimo i francesi si recheranno alle urne per votare il loro nuovo Presidente della Repubblica. Dico nuovo perché per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale (escludendo l’elezione anticipata del 1974 a seguito della morte dell’allora presidente Georges Pompidou) il presidente uscente, François Hollande, ha scelto di non ripresentarsi.

Il quinquennato di Hollande, al netto di tutti gli scandali, risultati e promesse, è stato condotto nella migliore ottica centrista di social-liberismo. I risultati sono stati, però, così poco soddisfacenti da costringere il presidente uscente a rinunciare a presentarsi alle primarie del proprio partito per timore della reazione dell’elettorato. Il vincitore di dette primarie è stato, infatti, il candidato che si pone più a sinistra nello spettro politico del centro-sinistra, a testimonianza dell’affermarsi, nel contesto francese come in tutto il panorama politico occidentale, di un fenomeno comune: l’insorgere degli estremismi.

Una breve analisi degli undici partecipanti al primo turno delle presidenziali (in Francia in tutte le elezioni della Quinta repubblica vi sono sempre stati in media una decina di canditati) mostra chiaramente una polarizzazione delle posizioni politiche sempre più accentuata.

Iniziando dai meno conosciuti, e anche con meno speranze di ottenere l’ambita nomina, a sinistra troviamo per prima Nathalie Arthaud, 47 anni, professoressa di economia, rappresentante del partito Lotta Operaia (Lutte Ouvrière) che vuole incarnare una candidatura di classe che permetterà «ai lavoratori, ai disoccupati, agli sfruttati di difendere i loro interessi contro quelli dei padroni e degli azionisti».

Proveniente da un background più rurale, ma sempre attento ai bisogni degli operai, troviamo, poi, Jean Lassalle, a capo del partito Resistiamo (Résistons), più volte deputato della regione del sud-ovest Pyrénés-Atlantiques, il quale si descrive come «difensore dei territori rurali e di un’ecologia umanista».

Di chiaro orientamento politico è anche il Nuovo Partito Anticapitalista (Nouveau Parti Anticapitaliste) di Philippe Poutou, meccanico dell’officina Ford a Blanquefort, sindacalista della CGT (sindacato di sinistra, assimilabile per alcune posizioni alla nostra CGIL), precedentemente membro di Lotta Operaia, il quale porta avanti da anni una battaglia contro la chiusura della fabbrica dove lavora.

Passando a destra, troviamo Jacques Cheminade, fondatore del partito Solidarietà e Progresso (Solidarité et Progès), ex allievo della ENA (la scuola che forma i dirigenti dell’amministrazione pubblica), il quale fonda la sua ideologia su temi complottistici e climatoscettici. I punti forti della sua campagna sono l’uscita dall’UE e dalla NATO, il ritorno al franco e l’importanza della colonizzazione della Luna in previsione dell’esplorazione di Marte.

Alle file degli euroscettici meno conosciuti si ascrive parimenti François Asselineau, anch’egli enarca (allievo dell’ENA), ex ispettore delle finanze pubbliche e membro dell’UMP, partito di Nicolas Sarkozy, il quale ha fondato nel 2007 l’Unione Popolare Repubblicana (Union Popoulaire Républicaine), che vanta come perno del suo programma il Frexit, l’uscita della Francia dall’Europa.

Un altro ex UMP e allievo dell’ENA, Nicolas Dupont-Aignan, fonda nel 2007 il partito La Repubblica Innanzitutto (Debout la République), con il quale spera di riportare la Francia a una nuova era di gaullismo e predominanza evitando il finto cambiamento promesso da alcuni e la rottura del sistema invocata da altri.

Parlando degli altri candidati, veniamo ai protagonisti maggiori di questa campagna elettorale, ossia i partecipanti principali dei grandi dibattiti organizzati dalle emittenti nazionali, nonché figure di spicco della stampa scandalistica, che riempiono le sale da conferenza e, in qualche caso, anche le aule dei tribunali.

Innanzitutto il vincitore delle primarie del Partito Socialista: Benoît Hamon. Ex ministro dell’Educazione durante la presidenza di Hollande (ha abbandonato il governo all’inizio della legislatura ed è stato aspramente critico delle riforme condotte), Hamon ha stracciato l’ex primo ministro Manuel Valls alle primarie, portando avanti una linea meno liberista e più marcatamente sociale, parlando apertamente della creazione di un contributo universale di esistenza che aiuterebbe tutti coloro che non hanno uno stipendio sufficientemente elevato. Hamon cerca di raggruppare tutti gli elettori che hanno permesso la vittoria della sinistra nel 2012 e ha già intessuto delle alleanze con i Verdi e gli ecologisti, ma deve scontrarsi sia con il bilancio negativo del governo sia con lo scarso supporto del suo stesso partito.

Per molti elettori di sinistra, infatti, la speranza del Paese riposa sulle spalle di Jean-Luc Mélenchon, ex membro del PS, senatore de l’Essonne, eurodeputato, fondatore del partito la Francia Ribelle (France Insoumise). Conosciuto per i suoi toni poco concilianti e per delle posizioni anti-establishment, il programma di Mélenchon si basa su una maggiore redistribuzione delle ricchezze con aumento del salario minimo, tasse più alte per i super-ricchi, diminuzione del tempo di lavoro settimanale, rinegoziazione dei trattati europei per renderli più favorevoli alla Francia, uscita dal nucleare, maggiore attenzione alle risorse naturali e all’agricoltura. Mélenchon si propone come il vero candidato della sinistra e ha, fino a ora, rifiutato ogni possibile compromesso con Hamon e il PS.

Compromessa sembra, invece, essere la posizione di François Fillon, candidato della destra per il partito I Repubblicani (Les Républicains). Il due volte primo ministro del governo Sarkozy ha riportato una folgorante vittoria alle primarie del partito contro l’ex presidente e contro il favorito Alain Juppè. Per qualche tempo i sondaggi lo indicavano come favorito, fino allo scandalo conosciuto come “Penelope-gate”. Fillon aveva fatto della sua sobrietà e integrità uno dei punti centrali della sua campagna per le primarie e per le presidenziali, ma le rivelazioni sugli elevati stipendi che avrebbe versato a sua moglie e ai suoi figli, utilizzando soldi pubblici per impieghi fittizi, hanno minato la fiducia anche dei suoi più fedeli sostenitori. Il processo in corso gli dà certo molta visibilità, ma nell’attuale clima di sfiducia verso una classe politica vecchia e lontana dai cittadini, non si può certo dire che si tratti di buona pubblicità.

Chi invece sembra guadagnare sempre più spazio mediatico e favore popolare dall’attuale situazione politica è Emmanuel Macron. Il trentanovenne ex banchiere presso la banca Rothschild, ex ministro dell’Economia di Hollande e anche lui ex ENA, non si definisce né di destra né di sinistra. Il suo movimento In Marcia! (En Marche!) cerca di raccogliere le simpatie dei più giovani e, allo stesso tempo, di tutti coloro che non gradiscono le prese di posizione troppo estreme. Macron è senza dubbio la figura preferita dalla press-people, soprattutto a causa del matrimonio con la sua insegnate di liceo, ma allo stesso tempo la sua campagna si appoggia su una comunicazione molto mirata, che lo porta attualmente a essere uno dei favoriti per il secondo turno.

Infine, la candidata che negli ultimi anni è riuscita a trasformare un gruppuscolo di estrema destra in un partito di massa, Marine Le Pen, a capo del Fronte Nazionale (Front National). Fondato da Jean Marie Le Pen, padre di Marine, il Fronte ha provato in diverse occasioni a conquistare l’Eliseo, ma le posizioni espressamente razziste, antisemite, omofobe e reazionarie, nonché il disprezzo di tutta la classe politica francese, lo hanno sempre relegato a un ruolo secondario. Il lavoro di de-diabolizzazione, condotto da Marine e dai suoi collaboratori, l’hanno portata a essere eletta eurodeputato nel 2004, poi consigliere regionale per la regione Nord-Passo di Calais e oggi favorita al primo turno delle presidenziali. Il programma del Fronte Nazionale raccoglie un mix di elementi di sinistra e di destra. Da un lato promette la redistribuzione delle ricchezze e salari più elevati, dall’altro si propone di aumentare la sicurezza e chiudere le frontiere, in un’ottica di chiara impronta euroscettica e di predominio nazionale.

In una campagna dove tutti i candidati si dicono anti-sistema, portatori di cambiamenti radicali e non si identificano nelle categorie di destra e sinistra, il primo turno di voto, il 23 aprile, si avvicina rapidamente.

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