Il 2020, per la Repubblica popolare cinese, che solo qualche mese fa aveva festeggiato con una cerimonia memorabile il suo settantesimo anniversario, dando sfoggio dei grandi traguardi raggiunti, rischia di essere un anno da dimenticare, e non una «pietra miliare nella storia», come enunciato da Xi Jinping in occasione del suo discorso di fine anno, pronunciato il 31 dicembre. Nel 2020 la Cina avrebbe, infatti, dovuto edificare una società moderatamente prospera sotto tutti i punti di vista e realizzare così il primo dei due ‘obiettivi centenari’ (‘liangge yibainian’ fendou mubiao). Ma l’insorgenza dell’epidemia di Coronavirus (2019-nCoV o Coronavirus di Wuhan, Wuhan feiyan) rischia di mettere tutto in discussione, quasi fosse uno di quei ‘cigni neri’ (hei tian’e) e/o ‘rinoceronti grigi’ (hui xiniu) – termini che nel linguaggio economico-finanziario indicano imprevisti e minacce altamente possibili, eppure ignorate – cui aveva fatto cenno il presidente cinese in un discorso pronunciato davanti ai funzionari convocati nella capitale cinese per una sessione di studio del Partito comunista, il 21 gennaio 2019. Nel suo discorso Xi aveva anche aleggiato lo spettro di ‘rivoluzioni colorate’ (yanse geming), lasciando dunque intendere che quello sarebbe stato un anno difficile per il Paese, vista la coincidenza con una serie di ‘anniversari sensibili’ (dal centesimo anniversario del movimento del ‘4 maggio 1919’ al trentesimo di piazza Tienanmen) che avrebbero potuto dare adito a indebite interferenze dall’estero.

A detta di alcuni osservatori si era trattato di uno dei discorsi più duri pronunciati da Xi Jinping fin dal suo arrivo al potere e lasciava trapelare un certo nervosismo da parte della leadership cinese. Sul finire dell’anno, in effetti, le analisi dei commentatori erano per lo più negative, ritenendo che il 2019 fosse stato per la Cina un vero e proprio annus horribilis, sotto molteplici punti di vista. Al di là della guerra commerciale con gli Stati Uniti, che aveva assunto tutti i contorni di una guerra per l’egemonia, erano soprattutto l’immagine e la reputazione del Paese ad averne subito le conseguenze principali. La Cina era stata messa sotto attacco, oltre che per le vicende di Hong Kong, anche per la pubblicazione da parte del New York Times dei cosiddetti Xinjiang Papers – una serie di documenti interni e rapporti, ritenuti ‘credibili dalle Nazioni Unite, che accusavano il governo cinese di gravi violazioni di diritti umani nei confronti della minoranza musulmana della provincia autonoma del Xinjiang Uygur – e per le ripetute accuse mosse agli Istituti Confucio, accusati di essere delle spie del governo cinese e di rappresentare una minaccia alla libertà accademica delle università ospitanti.

Ora, se è vero che per Pechino la reputazione nazionale è importante tanto quanto lo sono il potere economico e militare, ben si comprendono le conseguenze che questa emergenza epidemiologica mondiale potrà ulteriormente determinare all’immagine del Paese nel breve e medio periodo, soprattutto in considerazione della risposta non tempestiva da parte del governo centrale. Infatti, sebbene risulti appurato che il primo caso si sia verificato lo scorso 1° dicembre, e il primo allarme – ritenuto infondato e pertanto ignorato – sia stato lanciato quasi contemporaneamente al discorso di fine anno di Xi, le prime misure sono state adottate soltanto a partire dal 23 gennaio, quando l’epidemia oramai dilagava. La tardiva risposta delle autorità cinesi rischia di avere delle ricadute enormi, dal punto di vista economico (al di là dei differenti punti di vista), politico e geopolitico, non solo per la Cina, ma per il mondo intero, essendo oramai Pechino profondamente integrata nel sistema globale.

Ovviamente non è facile prevederne con esattezza le conseguenze, essendo la crisi ancora nel pieno della sua manifestazione e gli aspetti da considerare molteplici. Tuttavia, si può tentare di riflettere su alcuni degli esiti finora prodotti. In primis un allarme generalizzato e non sempre giustificato rispetto alla diffusione del virus, una psicosi che si sta diffondendo ad una velocità maggiore del virus stesso, l’emergere di una miriade di teorie complottiste circa la sua origine e il ritorno dello spettro della cosiddetta ‘minaccia cinese’ (Zhongguo weixie). In secondo luogo, una rinnovata ‘sfiducia’ nei confronti dei governanti comunisti e più in generale dell’autoritarismo inflessibile di Pechino e di Xi Jinping in particolare, che le misure draconiane messe a punto in queste ultime settimane hanno fatto emergere in tutta la sua forza. Quella del governo cinese è, infatti, una vera e propria lotta senza quartiere al virus, con controlli a tappetto sui mezzi di trasporto e cordoni sanitari estesi a ben 56 milioni di persone in diverse città del Paese, l’annullamento delle festività per il capodanno lunare – la più sentita in assoluto e che vede in media circa 3 miliardi di cinesi spostarsi ogni anno nell’arco di poco più di un mese per festeggiare insieme ai familiari e agli amici più cari – e la chiusura di scuole e università, oltre alla messa sotto accusa di centinaia di funzionari per comportamenti scorretti nella gestione dell’emergenza sanitaria. Misure che solo un governo autoritario come quello cinese avrebbe potuto, nel bene e nel male, mettere in campo, ma che nell’era dei social possono essere oggetto di dietrologia e alimentare ulteriori allarmismi, sia fuori che dentro i vasti confini del Paese. Insomma, la Cina rischia di farne le spese anche in termini di instabilità sociale, con possibili ripercussioni sulla tenuta del Partito e conseguenze del tutto imprevedibili.

Per quanto concerne i costi della crisi, non sono facili da stimare, in considerazione del fatto che già nel corso del 2019 la Cina aveva iniziato ad accusare i contraccolpi della guerra commerciale con gli Stati Uniti, registrando un tasso di crescita del 6%, il peggior dato dal 1990, quando le turbolenze politiche del periodo post-Tienanmen avevano frenato il PIL su un +3,9%. Bisogna inoltre considerare che le conseguenze delle misure adottate dal governo di Pechino avranno ripercussioni sull’intero sistema economico mondiale, essendone la Cina il traino. Basti pensare all’appello lanciato dall’OPEC, che sottolinea il rischio globale per il mercato del petrolio per via del calo degli ordinativi cinesi; allo stop di alcuni impianti industriali, in particolare dei settori automobilistico e della componentistica, localizzati nella zona epicentro del virus; alla chiusura dei propri punti vendita di colossi sportivi quali Adidas e Nike, analogamente a quella di catene mondiali molto popolari e diffuse nel Paese quali McDonald’s, Starbucks, Ikea, H&M; all’annullamento di eventi sportivi, quali Super League e la Coppa del mondo di sci, o al loro rinvio (sine die), come per il Gran Premio di Formula 1 a Shanghai. Per non parlare dei mancati introiti indotti dal turismo (in uscita, in entrata e domestico) e da fiere varie, oltre all’annullamento del capodanno lunare, che da solo muove in genere cifre astronomiche. Stando ai dati del ministero del Commercio cinese riportati in un articolo di Booking Blog TM, il blog del web marketing turistico, nel 2019, nella settimana del capodanno i cinesi hanno speso 1 trilione di yuan (circa 132 miliardi di euro) tra ristoranti, centri commerciali e negozi on-line, circa l’8,5% in più rispetto all’anno precedente, ma in costante calo rispetto al +20% del periodo pre-2011. Un calo determinato certamente dal rallentamento della crescita del PIL, a seguito delle misure messe a punto dal governo comunista cinese per trasformare il sistema economico (cosiddetto New Normal), favorendo una crescita quality-oriented, ossia sostenibile e tecnologicamente avanzata, meno basata sulle esportazioni e incentrata sui consumi interni.

Per quanto la Cina stia dando prova, ancora una volta, della sua grande capacità di reazione – quale diretta conseguenza delle restrizioni adottate nelle aziende con la messa a bando di riunioni e co-working, il Paese sta mettendo in campo il più grande esperimento di telelavoro al mondo; analogamente le scuole e le università si stanno organizzando per l’attivazione dei corsi on-line – la strada sembra essere ancora tutta in salita.

Immagine: Funzionari della salute e della sicurezza ispezionano i negozi nel quartiere dello shopping per identificare casi sospetti di Coronavirus, Chengdu, Cina (30 gennaio 2019). Crediti: B.Zhou / Shutterstock.com

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