Preoccupazione della comunità internazionale per la crisi istituzionale in Sudan dove il processo di transizione democratica ha subito una importante battuta di arresto. Lunedì 25 ottobre i militari hanno arrestato il capo del governo Abdallah Hamdok, il ministro dell’Industria, Ibrahim al Sheikh, quello dell’Informazione, Hamza Baloul, oltre a un consigliere del primo ministro, Faisal Mohammed Saleh. Ad attuare il colpo di Stato militari legati al generale Abdel Fattah al-Burhan, che ha annunciato lo scioglimento del governo in carica e del Consiglio sovrano di transizione, la nascita di un governo di “persone competenti” e l’istaurazione del coprifuoco. Nella stessa giornata di lunedì è stato dichiarato lo stato di emergenza, interrotto l’utilizzo di Internet e delle reti di telefonia, chiuso l’aeroporto di Khartoum ed è stata messa sotto controllo la televisione pubblica. Il generale Abdel Fattah al-Burhan ha assicurato che l’esercito darà continuità alla transizione democratica portando alla nascita di un governo frutto di libere elezioni, nell’estate del 2023. I collaboratori di Abdallah Hamdok e la ministra degli Esteri Mariam al-Sadiq al-Mahdi hanno invitato la popolazione a reagire all’intervento dei militari e a scendere in piazza in modo pacifico. Un appello che non è caduto nel vuoto, ma le manifestazioni di protesta che si sono svolte a Khartoum, e a cui hanno partecipato migliaia di persone, sono state violentemente represse dall’esercito; secondo il Comitato dei medici sudanesi, un’organizzazione sindacale indipendente del settore sanitario, negli scontri sono morte tre persone e almeno ottanta sono state ferite.
La crisi nasce dalla profonda divisione tra civili e militari all’interno del Consiglio sovrano, in presenza di una fase difficile dell’economia che sta mettendo in grande difficoltà la popolazione. A settembre c’era stato un tentativo di colpo di Stato fallito a cui erano seguiti arresti nell’esercito; a tentare di minare la transizione democratica erano stati probabilmente settori nostalgici della dittatura di al-Bashir. A ottobre, pochi giorni prima del golpe di lunedì 25, si erano succedute a Khartoum manifestazioni di protesta per chiedere l’assunzione del potere da parte dei militari che, sostituendo il governo di Abdallah Hamdok, ponesse fine alla gravissima situazione economica e all’instabilità politica. L’intervento dei militari è avvenuto poco prima del passaggio a un civile della guida del Consiglio sovrano, dove convivevano politici e militari, ed è sembrato ad alcuni osservatori quasi un evento annunciato e prevedibile. Il generale Abdel Fattah al-Burhan è stato considerato fino a lunedì 25 ottobre un moderato e uno degli esponenti militari più aperti al dialogo, all’interno e nella realtà internazionale, ma è probabile che esistano nell’esercito altre posizioni, più estreme nella difesa dei privilegi, anche economici, dell’esercito.
Si apre adesso una fase di grande incertezza; il segretario generale dell’ONU, António Guterres, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per l’evolversi della situazione in Sudan, chiesto la liberazione dei civili in stato di arresto e il rilancio del processo di transizione democratica. Meno netta la posizione della Russia; il ministero degli Esteri in un comunicato ha definito gli eventi del 25 ottobre «il naturale corso degli eventi», e ha criticato il governo di transizione per aver perso la fiducia della popolazione anche a causa delle interferenze straniere.
La crisi sudanese avrà sicuramente importanti ripercussioni a livello geopolitico; il Sudan è implicato nella crisi tra Egitto ed Etiopia incentrata sulla costruzione della diga sul Nilo Azzurro e l’avvento dei militari potrebbe favorire un ulteriore avvicinamento all’Egitto. Il Sudan riveste anche un ruolo geopolitico rilevante nell’area come luogo di transito dei flussi migratori diretti verso la Libia e il Mediterraneo; inoltre, affacciandosi sul Mar Rosso entra in contatto con le principali rotte commerciali a livello globale. Nella partita sul futuro del Sudan entrano quindi anche interessi e pressioni che vengono dall’esterno e non solo a livello regionale.