La guerra in Ucraina ha avuto effetti politici e diplomatici di notevole portata in Europa, costringendo tutte le cancellerie del continente a prendere in qualche modo posizione rispetto all’invasione lanciata dal Cremlino. Dalla coesione dimostrata dagli Stati membri Unione Europea (UE) sul fronte delle sanzioni e degli aiuti militari a Kiev, fino alla scelta di Svezia e Finlandia di chiedere l’adesione alla NATO, sono stati molti i “colpi di scena” innescati dall’aggressione russa. Meno discussa, ma ugualmente rilevante, è stata la decisione delle autorità della Svizzera di accantonare la tradizionale postura di completa neutralità e adeguarsi agli altri Paesi dell’Europa occidentale e ai partner internazionali nel colpire la Russia e i suoi interessi economici. La “svolta” nella politica estera della Confederazione elvetica potrebbe però non essere finita: dopo aver attuato le sanzioni, la prossima decisione che eventualmente spetterà a Berna è quella sul via libera all’invio “indiretto” di armamenti all’Ucraina, ovvero attraverso la cessione di sistemi venduti all’estero da aziende svizzere. Si tratterebbe di un notevole passo avanti per le autorità elvetiche, il cui processo decisionale sembra sostanzialmente seguire quello dei Paesi dell’Unione Europea. Come le consultazioni a Bruxelles tra gli Stati membri hanno visto spaccature e crisi momentanee, sistematicamente superate e concluse con l’approvazione dei pacchetti di sanzioni, allo stesso modo le iniziali resistenze della politica svizzera sono venute meno, confermando il saldo posizionamento di Berna nel “fronte occidentale”, contro la Russia e a sostegno dell’Ucraina.

Quello dell’invio di armi costituisce però uno scoglio più difficile da superare. Le istituzioni elvetiche dovrebbero infatti accantonare alcuni principi rimasti immutati per centinaia di anni. La neutralità della Svizzera venne iscritta nel Trattato di Parigi del 1815, ma alcuni storici fanno risalire questa tradizione addirittura al XVI secolo, dopo la sconfitta della vecchia Confederazione nella battaglia di Melegnano (anticamente Marignano) del 1515, esattamente tre secoli prima. Il Paese si è mantenuto neutrale nel corso delle due guerre mondiali e ha aderito alle Nazioni Unite solo nel 2002, quando un secondo referendum in materia trovò il favore della cittadinanza. Se dunque su sanzioni e su congelamento dei beni appartenenti a politici, alti funzionari e oligarchi russi si è scesi a un compromesso in nome della necessità comune in Europa di far fronte al Cremlino, sulla questione delle armi sembra al momento prevalere la fedeltà delle autorità elvetiche ai valori costitutivi. Testimonianza di tutto questo è infatti il veto posto nei giorni scorsi alla Spagna in relazione alla ri-esportazione di armi per la difesa aerea all’Ucraina. Madrid aveva presentato richiesta a gennaio per poter inviare a Kiev due cannoni antiaerei da 35 millimetri fabbricati in Svizzera, ma si è vista respingere l’autorizzazione, come già accaduto alla Danimarca e alla Germania, che volevano fornire alle truppe ucraine mezzi blindati e munizioni prodotti nella Confederazione.

Diverse voci nell’arco parlamentare elvetico hanno invocato una fine di questa politica, permettendo di superare la legge federale sul materiale bellico. I critici evidenziano i limiti del principio di neutralità nell’attuale congiuntura storica; a loro si associano i rappresentanti dell’industria della difesa svizzera, che lamentano come il bando alle esportazioni stia anche complicando la normale attività economica e la competitività delle aziende, a causa dell’impedimento per i potenziali clienti di cedere a loro volta le armi acquistate. Si tratta di una dinamica in qualche modo simile a quella vista con la Germania sul caso dei carri Leopard 2, il cui invio all’Ucraina da parte di terzi era stato per diverso tempo frenato dalla cancelleria e autorizzato solo dopo le pressioni degli alleati e un acceso dibattito interno. L’esecutivo di Berlino ha di fatto preso tempo per ponderare i rischi strategici derivanti da tale decisione, mentre quello di Berna si trova ad affrontare una questione “esistenziale”, che pone interrogativi anche per il futuro del Paese. Per il momento, in favore di un allentamento della Legge federale sul materiale bellico è già arrivato il parere delle commissioni per la politica di sicurezza del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati, i due rami dell’Assemblea federale svizzera. Nei piani dei deputati elvetici si tratterebbe di un’esenzione all’esportazione di materiale bellico di produzione locale applicabile solo ad alcuni Paesi, tra cui l’Italia, la Germania e la Francia, oltre a Stati Uniti e Giappone, pur con ulteriori caveat relativi alle condizioni di belligeranza delle nazioni a cui verranno eventualmente cedute le armi. Rimane tuttavia una divisione tra i partiti svizzeri sui passi da compiere sul tema, così come tra i cittadini, come rivelato da recenti indagini demoscopiche. Il quadro complessivo vede ragioni politiche, economiche e diplomatiche che si intrecciano, costringendo le autorità elvetiche a fare una scelta di campo che potrebbe definitivamente segnare la futura postura del Paese negli affari internazionali.

Immagine: Da sinistra, il presidente svizzero Ignazio Cassis e quello ucraino Volodymyr Zelenskij, Kiev, Ucraina, 20 ottobre 2022. Crediti: photowalking / Shutterstock.com

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