Per ricorrere ad una immagine evocativa, senza pretese analogiche, si potrebbe dire che il Consiglio europeo appena concluso è il nostro Congresso di Vienna. A Vienna, due secoli fa, l’Europa si riorganizzò con una serie complessa di negoziati dopo lo sconvolgimento bellico. A Bruxelles, pochi giorni fa, l’Europa si è riorganizzata con una serie complessa di negoziati dopo lo sconvolgimento pandemico. A prescindere dalle cause, tanto a Vienna quanto a Bruxelles la posta in palio era l’assetto politico dell’Europa. A Vienna si trattava la fine del tentativo di predominio europeo di uno; a Bruxelles si è trattato per evitare la fine del tentativo d’integrazione europea di tutti. A Bruxelles era in gioco la sopravvivenza di un’idea d’Europa unita pacificamente anche nella disgrazia; a Vienna si spartiva la divisione dell’Europa dopo la guerra, intesa come una grazia. Il Consiglio di Bruxelles passerà alla storia per questo, com’è stato, al contrario, per il Congresso di Vienna.
In entrambi i casi l’implicazione politica più immediata riguardava l’affermazione di un principio di legittimità internazionale. I negoziati lo potevano affermare o rifiutare, consolidare o smentire: dipendeva dal successo o fallimento. A Vienna si negoziò nel segno del passato il ripristino dei dinasti detronizzati da Napoleone, la riaffermazione di un principio di sovranità assoluta e reazionaria già ben noto. A Bruxelles si è negoziato nel segno del futuro l’avanzamento dell’integrazione europea raggiunta dagli Stati europei, l’affermazione di un principio di sovranità relativa e progressiva ancora assai ignoto. A Bruxelles – come a Vienna – la diplomazia europea si confrontava naturalmente col problema eterno dell’equilibrio politico; ma, appunto, nel segno di un principio di legittimità internazionale diverso e con in dote solo forza disarmata, ciascuno la sua. È questa forza a-violenta il moltiplicatore fondamentale delle capacità relative degli Stati piccoli.
Il Consiglio di Bruxelles ha sancito così, in modo speciale, che nel XXI secolo la legittimità internazionale in Europa è il giudizio collettivo degli Stati sull’equa appartenenza all’Unione Europea. Ha affermato che l’equa appartenenza all’Unione Europea implica un concetto di sovranità condivisa, fondato sulla sicurezza collettiva: è il concetto al quale il Regno Unito, alfiere del nazionalismo, si sta sottraendo, logorando più sé stesso che gli altri. Tale sicurezza – si badi bene – è prima politica, ossia economica e sociale, poi militare. Non a caso l’Unione Europea possiede dispositivi militari inaccostabili a quelli politici. Se i primi sono trascurabili, i secondi sono decisivi e si sono rivelati in grado di condividere un migliaio di miliardi di risorse economiche a fini di sicurezza collettiva in tutti gli ambiti salvo quello bellico. È proprio l’autonomia dell’elemento politico da quello militare che oggi, di fronte al successo politico del Consiglio di Bruxelles, ancor più sorprende: nell’Unione Europea il primo avanza senza il secondo, la vitalità dell’integrazione politica prescinde dal fatto bellico in tutti i suoi aspetti.
Non è tuttavia pensando solo alla dimensione bellica che oggi si coglie compiutamente la specificità della forma istituzionale dell’Unione Europea e, con ciò, il valore politico incomputabile dei negoziati del Consiglio di Bruxelles. La si coglie invece, soprattutto, considerando che il processo negoziale non è affatto concluso. Le decisioni prese dalla diplomazia degli Stati, quelle stabilite nel Consiglio europeo, non esauriscono affatto il negoziato in corso. Il Consiglio dovrà difatti, a sua volta, trattare con il Parlamento europeo fra pochi mesi. Lì siedono i 705 rappresentanti eletti dei popoli dell’Unione Europea, dall’isola di Malta a quella d’Irlanda. È questo che allontana definitivamente l’immagine del Consiglio di Bruxelles del 2020 da quella del Congresso di Vienna del 1815: il primo esiste in un contesto pluralista di potere diffuso, risponde al Parlamento oltre che alle Corti. Il secondo non rispondeva a nessuno, solo a sé stesso e ai monarchi con pieno potere.