9 marzo 2020

Coordinare l’azione contro un contagio ormai globale

Intervista a Giorgio Palù, professore di Microbiologia e Virologia all’Università di Padova

 

Non si arresta l’epidemia di Coronavirus. I casi registrati hanno superato a livello globale quota 100.000. E mentre si segnala un rallentamento del contagio in Cina, nel resto del mondo e in Italia cresce il numero delle persone affette da Covid-19. Le autorità di Pechino hanno messo in campo misure eccezionali per arginare l’espansione dell’epidemia, registrando un certo successo. Ritiene efficaci le misure attualmente in atto a livello globale? E nel nostro Paese?

Sicuramente l’Italia, dopo un’esitazione iniziale (no a isolamento fiduciario dei provenienti dall’area del focolaio epidemico causa “pseudo-buonismo” dovuto a timore di atteggiamento discriminatorio) è il Paese che più ha effettuato indagini diagnostiche anche al di fuori delle linee guida (tamponi a soggetti sintomatici e ai contatti dei contagiati). Le misure adottate sono quelle suggerite dall’OMS, ma non si possono certo paragonare a quelle attuate dal governo cinese, che ha messo in quarantena con provvedimenti molto stringenti e metodi sanzionatori oltre 50 milioni di persone. L’Italia sta facendo quanto possibile, altri Paesi europei no: quarantena nei nostri confronti, controlli parziali solo in soggetti sintomatici, mancata sospensione degli eventi pubblici etc. Questo è alquanto deprecabile, ci si attenderebbe dall’Unione europea un’armonizzazione dei provvedimenti igienico-sanitari considerato che il contagio è ormai globale e che il primo caso molto probabilmente è tedesco (New England Journal of Medicine, 03/20). Andrebbe poi considerato che in Europa hanno sede l’OMS e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

 

Quali margini ci sono, a suo parere, per sviluppare un’azione congiunta a livello internazionale o quantomeno europeo?

Si tratta di una decisione di carattere politico, che dimostrerebbe al mondo e agli europei che l’Europa è veramente un’unione. Gli Stati membri sono indipendenti per quanto riguarda le misure sanitarie, ma questa epidemia non ha confini.

 

Le continue esortazioni da parte delle autorità internazionali competenti a non sottovalutare il rischio di espansione dell’epidemia inducono a pensare che forse non tutti stiano adottando contromisure appropriate. Cosa ritiene si possa fare di più e meglio per contrastare il diffondersi del virus?

Usare tutti le stesse precauzioni ufficialmente raccomandate (isolamento, quarantena, misure di protezione individuale, evitare i luoghi affollati e non intasare i Pronto Soccorso, mantenere una distanza di sicurezza, lavarsi frequentemente le mani etc.) in attesa di farmaci specifici e/o vaccini e dei progressi scientifici sia di base sia clinici derivanti dalla comprensione dei meccanismi molecolari di patogenicità del virus, dalla definizione di fattori di rischio individuali (studi caso-controllo), dalla valutazione della gravità della malattia e dei tassi di infezione (studi di comunità), misura dell’infettività e timing del contagio (viral shedding in gruppi omogenei di soggetti portatori del virus), accertamento della reale diffusione del virus nella popolazione (calcolo del denominatore mediante studi sieroepidemiologici nell’epicentro del contagio o in aree confinate che chiariranno quanti soggetti hanno contratto l’infezione senza denunciare sintomi; solo così si potranno esattamente definire i tassi di morbosità e letalità del SARS-CoVid-19).

 

Con il diffondersi dell’epidemia si inseguono le indiscrezioni e le ipotesi circa la preparazione di un vaccino e la messa a punto di cure più efficaci. A che punto siamo? Quali tempi possiamo immaginare siano necessari per riuscire a dotarsi di tali strumenti?

I tempi per allestire un vaccino o sottoporre a screening milioni di composti da librerie chimiche non sono il fattore limitante, soprattutto ora che abbiamo la struttura della proteina S del SARS-CoV-2 risolta a livelli di 2-3 Armstrong in interazione col recettore cellulare (ACE-2) oltre che la struttura della principale proteasi del virus (entrambi ottimi bersagli per vaccini e farmaci (Science Feb/March 20). La scienza, grazie alla biologia sintetica, ci permette di ricreare in pochi giorni il virus e le sue strutture e di utilizzarle per i necessari saggi. Il problema sono i tempi per avere a disposizione dei prodotti da usare sull’uomo, che necessitano di preventive prove su cavie da esperimento e di volontari per stabilire la non tossicità, l’oncogenicità, per accertare la dose efficace e comparare il nuovo prodotto con controlli o altri preparati consimili. Gli studi clinici impiegano migliaia di individui e devono rispettare procedure ben stabilite e standardizzate. Minimo 1-2 anni saltando alcune fasi cliniche (adottando l’impiego sperimentale come fatto per il vaccino anti-Ebolavirus) nel caso di urgente necessità (pandemia e/o letalità e morbosità elevate).

 

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Immagine: Screening della temperatura per evitare l’ingresso del Coronavirus nell’aeroporto di Bologna (13 febbraio 2020). Crediti: depaz / Shutterstock.com

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