12 marzo 2022

Differenziare le forniture di energia: il gas algerino può rimpiazzare quello russo?

 

Lo scorso 28 febbraio, a guerra in Ucraina iniziata da pochi giorni, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, affiancato dall’ad di Eni Claudio Descalzi, è volato ad Algeri. Ha incontrato il suo omologo algerino Ramtane Lamamra e il ministro dell’Energia e delle Miniere, Mohamed Arkab. Il summit aveva più di un motivo fondato ed il timing risultava perfetto data l’emergenza che si andava profilando, divenuta nel frattempo sempre più incalzante, causata dalla possibile scarsità di risorse naturali che il conflitto, se non si concluderà nel breve termine, innescherà. Al di là della contingenza, poi, l’occasione della terribile situazione nell’Est europeo, fornisce all’Italia e agli altri Paesi del continente il pretesto per ripensare la politica di importazione energetica e liberarsi progressivamente della dipendenza dalla Russia. Al momento, infatti, l’Italia, che importa circa il 95% del gas che consuma, risulta uno dei Paesi UE più dipendenti dal gas russo: «Circa il 45% del gas importato in Italia ‒ ha dichiarato il primo ministro italiano Mario Draghi appena tre giorni prima della missione di Di Maio ‒ proviene dalla Russia, in aumento dal 27% di dieci anni fa». La posizione del premier si fa addirittura più netta quando aggiunge che «le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni». Da qui la scelta di rivolgersi a nuovi player come Algeria, Azerbaigian, Tunisia e Libia.

L’incontro di Algeri, quindi, che aveva come primo punto all’ordine del giorno l’aumento delle forniture di gas per compensare una possibile diminuzione da parte russa, a giudicare dalle dichiarazioni, è sembrato un successo. «Con l’Algeria avremo una partnership energetica più forte – ha dichiarato uscendo dal colloquio Luigi Di Maio – che ci consentirà di mitigare gli effetti delle sanzioni alla Russia. C’è una grande disponibilità da parte dell’Algeria a sostenerci sia nel breve, medio e lungo periodo». L’ottimismo mostrato dal nostro ministro è stato subito dopo corroborato dalle dichiarazioni rilasciate da Toufik Hakkar, l’amministratore delegato della principale compagnia algerina di petrolio e idrocarburi Sonatrach: «L’Algeria – ha detto – ha capacità inutilizzate sul gasdotto Transmed che collega il nostro Paese all’Italia ed è disponibile e pronta a sostenere i propri partner in caso di situazioni difficili». Transmed può trasportare fino a 32 miliardi di metri cubi di gas all’anno, quattro volte di più del gasdotto Medgaz che passa per il Marocco e rifornisce la Spagna e che, peraltro, dovrà sobbarcarsi l’intera fornitura di gas a Madrid per la recente chiusura del Maghreb-Europe Gas Pipeline a causa dei noti dissidi tra Algeri e Rabat (il presidente dell’Algeria Abdelmadjid Tebboune il 31 ottobre scorso ha rescisso il contratto che regolava la gestione del gasdotto «in considerazione dell’atteggiamento aggressivo del Regno del Marocco nei confronti dell’Algeria, che mina l’unità nazionale»). L’Algeria, inoltre, che è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo la Russia, si è detta disponibile a fornire gas naturale liquefatto attraverso le sue navi.

Fin qui la rassicurante cronaca della due giorni algerina del ministro degli Esteri e dell’amministratore delegato dell’Eni che il 1° marzo sono stati ricevuti anche da Mourad Adjal, ad di Sonelgaz, la società che distribuisce elettricità e gas naturale nel Paese magrebino, e hanno ribadito che «il partenariato energetico tra Italia e Algeria, è sempre più forte».

Ma già dai giorni successivi ai colloqui, in realtà, sono emerse le prime, serie perplessità. Non tanto sulle giuste intenzioni dell’Italia di rivolgersi all’Algeria per garantirsi forniture di gas alternative a quella russa, né sulla volontà e l’interesse dell’Algeria di predisporle, quanto sulla disponibilità e la capacità delle riserve.

L’Algeria, infatti, destina il 60% delle risorse di gas all’uso interno che garantisce anche elettricità al Paese. La produzione nazionale di gas naturale, inoltre, che ammonta a 130 miliardi di metri cubi, è stagnante dal 2018 e stenta a riprendersi proprio a causa dell’esaurimento delle riserve già spremute e del costo molto elevato di nuovi investimenti necessari a sfruttare tutti i giacimenti che potenzialmente contengono quantità enormi, quanto inesplorate, di gas naturale. Lo stesso Hakkar, a margine dell’incontro, ha dichiarato al quotidiano Liberté che le ulteriori possibili forniture di gas naturale o di gas liquefatto restano dipendenti dalla «disponibilità di volumi in eccesso dopo aver soddisfatto la domanda del mercato nazionale» e da «impegni contrattuali» pregressi con partner stranieri.

Ma a gettare acqua sul fuoco dell’entusiasmo per gli accordi di fine febbraio, oltre ad alcune testate francesi e algerine che riportano dubbi e perplessità, c’è l’inchiesta di Algérie Part Plus, un medium algerino che riferisce dei risultati di un’indagine svolta dai propri giornalisti secondo cui «l’Algeria non ha la capacità di coprire gli immensi bisogni dei paesi dell’Unione europea (…). A meno che non siano previsti investimenti infrastrutturali miliardari nel breve periodo». Sonatrach, spiega Algérie Part Plus, non potrà mai garantire da sola l’immenso costo finanziario per nuove infrastrutture, almeno non nel breve periodo: «per iniziare l’esplorazione di nuovi giacimenti – spiega l’inchiesta – e poi avviare la messa in servizio della loro produzione, ci vogliono diversi anni».

Resta quindi tutta da verificare la possibilità di rivolgersi nell’immediato al mercato algerino per incrementare l’afflusso di gas da altre fonti e diminuire progressivamente la dipendenza dalla Russia. Lo sforzo, in ogni caso, di rivolgersi altrove e «differenziare» come ha ribadito Mario Draghi, va senza dubbio nella direzione giusta. Bisognerà superare una serie di logiche legate a vecchi interessi e guardare a nuovi player. Oltre all’Algeria, infatti, ci sono la Libia, la Tunisia, l’Azerbaigian, il Qatar. Ma anche l’Iran (sotto sanzioni americane). L’occasione, per quanto drammatica, offrirebbe l’innesco a un ripensamento degli accordi e delle forniture anche di natura geopolitica. Un processo non certo semplice – dati l’instabilità o il carattere non esattamente democratico di alcuni di questi Paesi – che però aiuterebbe a disattivare monopoli di altri ugualmente, se non maggiormente tirannici.

C’è poi un altro aspetto che l’attuale crisi fa emergere: oltre a diversificare e reperire altre fonti – che comunque restano fossili e, come il caso dell’Algeria esemplifica, si esauriscono ‒ risulta ormai più che evidente che nel lungo termine è ineludibile affidarsi a energie green e rinnovabili.

 

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Immagine: L’impianto di estrazione di gas di Tiguentourine, Algeria. Crediti: TOUAT Hamid / Shutterstock.com

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