11 dicembre 2022

È ancora braccio di ferro tra Ungheria e UE

L’annoso braccio di ferro tra Ungheria e Unione Europea (UE) in merito allo Stato di diritto si è arricchito di un nuovo capitolo, legato allo stanziamento dei fondi per la coesione e all’approvazione del PNRR di Budapest. La disputa, che vede contrapposti il governo di Viktor Orbán e la Commissione europea, potrebbe determinare il destino di finanziamenti per un ammontare pari a 7,5 miliardi di euro per il Paese dell’Europa centrale, in bilico tra congelamento e sblocco da quando Bruxelles ha deciso di andare “allo scontro” con il premier magiaro. La partita si gioca però anche al Consiglio europeo, dove gli Stati membri UE devono decidere se e come lasciare margine di manovra all’Ungheria su un tema delicato come quello delle riforme interne, permettendo al contempo alla Commissione di continuare a usare i fondi del Piano di ripresa e resilienza come strumento per piegare Budapest sui dossier più divisivi.

Secondo l’esecutivo europeo, l’Ungheria non ha raggiunto gli obiettivi fissati nella scadenza del 19 novembre scorso in materia di Stato di diritto. Budapest avrebbe mancato ben 17 punti concordati con le autorità di Bruxelles, in particolare alcuni “aspetti centrali” legati all’autorità in materia di anticorruzione recentemente istituita e alla revisione giudiziaria delle decisioni delle procure. Su questa base, l’esecutivo comunitario avrebbe deciso di non dare il via libera allo stanziamento dei fondi per la coesione da 7,5 miliardi di euro, scegliendo una linea dura che metterebbe ulteriore pressione al governo Orbán, già in difficoltà in patria per le conseguenze economiche derivanti dalla crisi globale. Non si può tuttavia ancora parlare di resa dei conti, perché nel frattempo la Commissione UE ha approvato i programmi del PNRR ungherese, per un totale di 5,8 miliardi di euro, ma il definitivo via libera deve ancora arrivare, con scadenza massima il 19 dicembre. Anche tra gli Stati membri non si è formata un’opinione condivisa su quale sia la migliore tattica da impiegare nei confronti di Budapest, nella speranza di poter forzare il governo locale a “cedere” su altri temi.

 

Orbán sta infatti provando a rispondere a Bruxelles facendo leva sul diritto di veto su questioni cruciali per l’UE, a partire dal sostegno all’Ucraina. Noto per la sua posizione “filorussa” all’interno del Consiglio UE, il primo ministro ungherese ha più volte provato a rallentare o sabotare l’approvazione dei vari pacchetti di sanzioni contro Mosca, una tattica che ha finito però per isolare sempre più l’Ungheria all’interno dell’Unione, anche dai tradizionali partner di Visegrád, in particolare la Polonia. L’ultimo fronte di tensioni in merito è il programma di assistenza finanziaria UE all’Ucraina, per un valore di 18 miliardi, su cui Budapest ha mostrato una determinata opposizione e che negli ultimi giorni è stato bloccato proprio per il veto posto dai rappresentanti ungheresi all’Ecofin, la riunione dei ministri delle Finanze europei. La misura a favore di Kiev andrebbe approvata all’unanimità dagli Stati membri per consentire lo sblocco degli ingenti fondi UE a partire dal prossimo gennaio. Altro tema su cui Orbán sta provando a far valere la propria contrarietà è quello della tassazione minima sulle multinazionali, concordata nel 2021 in sede OCSE e su cui è attesa l’implementazione europea. La posizione negativa dell’Ungheria è motivata in questo caso da ragioni di politica ed economia interne, laddove il Paese da decenni attira compagnie estere sul mercato locale grazie a politiche fiscali estremamente vantaggiose. 

 

L’incrocio tra fondi del PNRR, il pacchetto di aiuti all’Ucraina e la discussione sulla tassazione minima globale si gioca in un contesto diplomatico complesso, tra riunioni del Consiglio UE, incontri tra i vari ministri responsabili e il lavoro della Commissione, senza considerare l’incessante operato dei funzionari e degli ambasciatori a Bruxelles dei singoli Stati membri. La posizione di crescente isolamento dell’Ungheria potrebbe acuirsi ancora di più a causa del veto posto sul pacchetto di assistenza finanziaria all’Ucraina, scavando un solco sempre più ampio con la Polonia, fino a pochi mesi fa il Paese più solidale con Orbán in nome della affinità ideologica tra i due governi e degli interessi convergenti a livello politico ed economico. Varsavia ha però assunto un ruolo primario tra i “falchi” dell’UE contro la Russia, perorando un sempre maggiore sostegno a Kiev e misure durissime contro Mosca, motivo per cui le relazioni con Budapest sono cambiate e rischiano di peggiorare ulteriormente dopo la scelta delle autorità ungheresi all’Ecofin. L’esecutivo polacco potrebbe decidere di abbandonare alla sua sorte l’Ungheria, lasciando a Orbán l’onere di trovare nuovi sostenitori, magari bussando alla porta “amica” di Giorgia Meloni al prossimo Consiglio europeo del 19 dicembre.

 

Immagine: Viktor Orbán in occasione della sua partecipazione a una riunione informale dei capi di Stato o di governo a Praga, Repubblica Ceca (7 ottobre 2022). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com

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