Le elezioni parlamentari in Estonia hanno confermato il ruolo centrale nella politica nazionale della prima ministra Kaja Kallas e del Partito riformatore estone (ER, Eesti Reformierakond) da lei guidato, che ha raccolto il 31,2% dei consensi. Il risultato uscito domenica dalle urne sembra aver premiato la posizione della premier uscente sul fronte estero, in particolare per il sostegno incondizionato all’Ucraina. Kallas si trova ora ad avere 37 deputati tra i 101 del Parlamento di Tallinn, il Riigikogu, facilitando il lavoro di consultazione per formare una nuova coalizione di governo. Nettamente staccati nello spoglio delle schede sono risultati i sovranisti del Partito popolare conservatore estone (EKRE, Eesti Konservatiivne Rahvaerakond) e il Partito di centro estone (EK, Eesti Keskerakond), attestatisi rispettivamente al 16,1 e 15,3%. Entrambe le formazioni hanno raccolto meno di quanto ci si attendeva in base ai sondaggi: EKRE ha perso più di due punti percentuali rispetto al 2019, mentre i centristi dell’ex premier Jüri Ratas sono crollati a fronte del 23,1% delle ultime parlamentari, quando erano stati il secondo partito in assoluto.
I riformatori saranno dunque al centro di qualsiasi combinazione per la costituzione di una maggioranza, che potrebbe coinvolgere in prima battuta l’altra forza liberale del Riigikogu, il partito Eesti 200, la vera sorpresa di queste elezioni con il 13,3% dei voti e ben 14 deputati entrati in Parlamento. Basterebbero perciò i rappresentanti di questi due partiti per superare i 51 seggi necessari ad avere una maggioranza semplice, ma è possibile che Kallas voglia rendere più stabile la coalizione ed estenderla ad altre formazioni. L’impronta del futuro governo estone dovrebbe in ogni caso restare quella saldamente europeista e atlantista che ha contraddistinto gli altri due esecutivi guidati dal 2021 a oggi dalla leader dei riformatori. In questo periodo di tempo, Kallas si è imposta all’attenzione continentale come una dei più convinti propugnatori della linea dura contro la Russia in seno al Consiglio europeo, portando l’Estonia ad ottenere una visibilità che va ben oltre le limitate dimensioni geografiche e politiche della nazione baltica.
In campagna elettorale c’è stato un generale consenso sul tema della sicurezza. L’Estonia, come del resto Lettonia e Lituania, nutre da sempre una forte diffidenza verso l’ingombrante vicino orientale. Non sorprende dunque che queste elezioni, giunte a poco più di un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, abbiano visto i partiti estoni esprimere una posizione sostanzialmente omogenea sul tema della solidarietà verso Kiev e sulla necessità di rafforzare la difesa nazionale, oltre a quella dei Paesi NATO. Differenze di vedute sono emerse però in merito al livello di supporto militare da fornire all’esercito ucraino e all’accoglienza verso coloro che fuggono dalle devastazioni provocate dai bombardamenti russi. Kallas ha perorato la causa del sostegno incondizionato alla causa ucraina, compresa la popolazione civile, insieme all’importanza di mantenere la linea dura sulle sanzioni contro Mosca, in cooperazione con gli alleati e ovviamente nel contesto dell’Unione Europea. Gli avversari della premier uscente l’hanno però attaccata sui dossier economici, in particolare per quella che è stata negli ultimi mesi la vera emergenza interna del Paese, vale a dire l’aumento del costo della vita e il tasso di inflazione, che ad agosto scorso ha addirittura superato il 25%, per poi scendere progressivamente. L’accusa rivolta all’esecutivo è di aver permesso che le conseguenze globali della guerra in Ucraina incidessero pesantemente sulla stabilità finanziaria dei cittadini e dell’economia nazionale, senza saper prendere misure adeguate in risposta a queste tendenze negative.
I risultati delle urne sembrano tuttavia aver premiato le scelte di Kallas, penalizzando al contempo le formazioni più ambigue nei rapporti con Mosca, in primis i centristi. Il partito guidato da Ratas, responsabile della crisi di governo della scorsa primavera, è stato nel tempo il principale punto di riferimento per la vasta comunità russofona dell’Estonia, pari a oltre il 20% della popolazione complessiva del Paese baltico. Fino a un anno fa i centristi vantavano addirittura un accordo di cooperazione con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, a cui si sono trovati costretti a rinunciare dopo l’invasione dell’Ucraina. Anche il deludente risultato di EKRE e di altre forze di estrema destra evidenzia la volontà dei cittadini estoni di mantenere salda la rotta europea e atlantista del governo, senza sbandamenti che potrebbero risultare pericolosi nell’attuale congiuntura politica internazionale.
A margine, è opportuno segnalare come il dato relativo all’affluenza, sebbene non particolarmente elevato in termini assoluti, si sia mantenuto in linea con quelli delle ultime elezioni, quasi al 64%. A sorprendere fino a un certo punto, in un Paese considerato tra i maggiormente digitalizzati al mondo, è il numero di cittadini che ha deciso di votare on-line, pari a circa il 51% secondo le stime preliminari. Per la prima volta, gli elettori telematici sono stati più di quelli che si sono recati fisicamente ai seggi.